Alla fine, Londra e Washington danno ragione a Mosca
Gran Bretagna e Usa sospendono gli aiuti ai ribelli nel Nord della Siria. Una retromarcia causata dalla conquista, da parte degli jihadisti, del grande deposito di armi di Bab al Hawa. Un riconoscimento, tardivo, delle ragioni di Putin.
Solo quattro mesi or sono gli anglo-americani insieme ai francesi sostenevano le ragioni dell’attacco militare a Damasco criticando la strenua difesa di Bashar Assad opposta da Mosca, ma sono bastate poche settimane perché i fatti dimostrassero che sulla crisi siriana avevano ragione i russi: l’alternativa al regime non sarebbe una “primavera” né porterebbe a una democrazia ma solo all’instaurazione di uno Stato islamico.
La decisione di Washington e Londra di sospendere gli aiuti ai ribelli nel Nord della Siria, annunciata mercoledì, ha il sapore della sconfitta per le potenze occidentali che per due anni hanno sostenuto, anche se blandamente sul piano militare, gli insorti siriani. Già da tempo erano emerse perplessità per la progressiva deriva islamista assunta dalla rivolta armata contro Damasco, ma il colpo di grazia alle residue speranze degli anglo-americani di poter sostenere movimenti almeno all’apparenza democratici è tramontata il weekend scorso quando alcune brigate che avevano da pochi giorni abbandonato l’Esercito Siriano Libero per aderire al Fronte Islamico hanno rivolto le armi contro l’ESL conquistando la grande base logistica di Bab al-Hawa.
Un’operazione di rilevanza strategica perché da un lato ha sottratto il più importante deposito di armi e munizioni al movimento riconosciuto come forza moderata e filo-occidentale e dall’altro ha privato l’ESL anche della residua credibilità come soggetto politico. Non è un caso che ieri fonti del Wall Street Journal dessero il generale Salim Idriss, comandante dell’ESL, in fuga in Qatar. Notizia poi smentita da un portavoce della Coalizione Nazionale Siriana che ha dovuto però ammettere che Idriss si trova in Turchia per non meglio precisati colloqui. Forse con il governo di Ankara, ultimo sponsor dell’ESL, forse con i jihadisti del Fronte Islamico, costituitosi il mese scorso riunendo sei movimenti qaedisti e salafiti che hanno rotto i ponti con l’ESL e la Coalizione Nazionale Siriana rivendicando l’obiettivo di costituire uno Stato islamico. Meglio armati ed equipaggiati grazie agli ingenti finanziamenti sauditi, i jihadisti stanno “assorbendo” da mesi molte milizie moderate incluse diverse brigate dell’ESL attratte dalla possibilità di combattere con maggiori dotazioni belliche e di venire stipendiati.
Inevitabile che Londra e Washington vedessero così aumentare il rischio che gli aiuti forniti all’ESL finissero nelle mai sbagliate. Non solo gli equipaggiamenti “non letali” ufficialmente forniti ai ribelli ma anche le armi fatte filtrare dall’estate scorsa lungo il confine turco dagli uomini della CIA che in buona parte (inclusi missili antiaerei Stinger) pare fossero stoccate proprio nella base di di Bab al-Hawa.
La sospensione degli aiuti militari anglo-americani non riguarda infatti (almeno per il momento) il fronte meridionale dove i miliziani dell’ESL vengono addestrati ed equipaggiati da consiglieri delle forze speciali statunitensi nei campi istituiti in territorio giordano. Sul piano internazionale la decisione di Londra e Washington rappresenta un trionfo per Vladimir Putin e dimostra l’approssimazione della politica delle potenze occidentali nei confronti delle crisi arabe. Lo stop agli aiuti ai ribelli conferma infatti come la rivolta contro il regime abbia assunto una matrice completamente islamista e sia nelle mani delle milizie legate ai salafiti e ai qaedisti del Fronte al-Nusra e dello Stato Islamico di Iraq e Siria.
La svolta potrebbe avere effetti importanti negli equilibri strategici dell’area lasciando la Turchia da sola a fare i conti con l’ingombrante presenza qaedista alle sue frontiere meridionali ma anche all’interno del suo territorio, retrovia dei ribelli siriani. Dopo le polemiche reazioni di Riad e degli emirati del Golfo alle recenti aperture di Washington all’Iran, la decisione anglo-americana di abbandonare gli insorti siriani potrebbe determinare un ulteriore raffreddamento nelle relazioni tra arabi e statunitensi. Un segnale importante in tal senso è giunto martedì dalla clamorosa intervista rilasciata al britannico Telegraph dal principe ereditario e primo vice premier del Bahrain, Sheikh Salman bin Hamad al-Khalifa, che ha parlato senza mezzi termini di “approccio schizofrenico" degli Usa al Medio Oriente.
Il principe ha sottolineato come l'amministrazione Obama rischia di perdere influenza nella regione se non cambierà approccio in politica estera precisando che dopo la rinuncia di Washington ad attaccare Damasco diversi Paesi del mondo arabo stanno rivedendo le relazioni con gli Usa. “Il problema” secondo al-Khalifa, è che la politica americana non sembra prevedere una ''pianificazione sul lungo termine'', in pratica naviga a vista, e molti Paesi arabi hanno iniziato a dubitare dell'affidabilità dell'Occidente per la tutela dei propri interessi. Affermazioni che assumono un rilievo ancora maggiore se si tiene conto che il Bahrain ospita il comando della Quinta flotta statunitense. La perdita di credibilità occidentale rischia poi di avere un effetto paradossale obbligando gli arabi a guardare ai russi i quali, benché alleati di Assad e partner di Teheran, si sono dimostrati più coerenti e affidabili degli statunitensi e in ogni caso tesi a mantenere una stabilità regionale che in senso lato rientra anche negli interessi delle monarchie del Golfo.