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RUSSIA-NATO

Alla deriva verso la nuova guerra fredda

Un anno dopo il referendum in Crimea, con una clamorosa intervista alla Tv nazionale russa, Vladimir Putin ha ammesso di aver pianificato l'annessione della penisola con settimane di anticipo. E' un sintomo del ritorno alla guerra fredda fra Russia e Nato.

Editoriali 15_03_2015
Vladimir Putin

Il deterioramento delle relazioni tra Russia e Occidente non si arresta, segnali inequivocabili appaiono tutti i giorni, alcuni di una preoccupante gravità, ma stranamente non vengono recepiti dalla maggioranza dei mass-media nostrani. Alla loro segnalazione è particolarmente attento il telegiornale di Euronews, che per quanto goda del primato di network più seguito in Europa, non riesce a sovrastare, e nemmeno a influenzare il trend delle grandi emittenti nazionali; a tal punto da far insorgere il dubbio che abbia una valutazione distorta degli eventi da questi trascurati o appena accennati. 

Il caso più clamoroso è rappresentato dall’intervista data l’8 marzo scorso alla Tv nazionale russa da Vladimir Putin nella quale ha ammesso, per la prima volta, di aver progettato e ordinato l’invasione della Crimea. L’ultima personalità a parlare apertamente di  “invasione”  del  territorio ucraino, della “aggressione diretta di un paese vicino”, era stato  il 22 febbraio, in una conferenza stampa a Roma, l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica Svjatoslav Shevchuk: «Per descrivere quanto accade in Ucraina – aveva detto riferendo sulla visita ad limina dell’episcopato e l’incontro con papa Francesco  – non si può che usare una sola parola: guerra, una guerra imposta, un’invasione straniera e non una guerra civile». Chi in Occidente ha finora parlato o scritto dell’occupazione militare russa della Crimea, e poi analogamente con gli stessi soldati nelle due regioni russofone dell’Ucraina orientale, è stato qualificato come falso e bugiardo nonché come agente della ostile propaganda statunitense. Nelle sedi internazionali il ministro degli esteri Sergei Lavrov, e il suo ambasciatore al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno sempre negato ogni aggressione o invasione, pur comprovata da molte evidenze. 

Putin ha allora raccontato come e quando ha avviato il piano d’invasione della Crimea, La notte del 22 febbraio 2014, dopo la fuga da Kiev del presidente filo-russo Viktor Yanukovich, aveva convocato al Cremlino un “vertice” con il KGB e il Ministero della Difesa. L’esame della nuova situazione si era concluso alle 7 del mattino con la decisione che “occorreva cominciare a lavorare a un piano per riportare la Crimea in Russia”. E in effetti cinque giorni dopo, il 27 febbraio, un commando militare senza insegne di riconoscimento raggiungeva il capoluogo Sinferopoli dalla vicina enclave (e base aeronavale russa) di Sebastopoli e prendeva il controllo del Parlamento regionale della Crimea. All’opinione pubblica internazionale, sbigottita, questi soldati venivano presentati come miliziani locali, appartenenti ad “unità di autodifesa”. Dall’invasione all’annessione il passo era breve e difatti il 16 marzo un referendum organizzato sotto il controllo delle forze armate russe e dai risultati “bulgari” sanciva l’indipendenza della penisola ucraina; quindi rapidamente, cinque giorni dopo, convocata e presieduta da  Putin, si svolgeva al Cremlino una solenne seduta degli organi della Federazione russa per la firma e proclamazione del documento di annessione.

Referendum in Crimea

Due settimane prima di questa intervista, a parlare di un piano prestabilito da Putin per l’invasione e annessione della Crimea e per la guerra nel Donbass era stato il quotidiano d’opposizione Novaya Gazeta. Ci sarebbe da chiedere ai corrispondenti dei mass media italiani a Mosca perché non abbiano dato credito a questa informazione; come ci sarebbe da chiedere all’Ucraina, che giustamente considera l’operato del Cremlino una flagrante violazione del diritto internazionale, le ragioni per cui non ha finora adito la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja. La Russia peraltro si era impegnata con il Protocollo di Budapest del 1994 a rispettare la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina  in cambio dello smantellamento  dell’armamento e degli impianti atomici stabiliti  nel suo territorio all’epoca in cui essa faceva parte dell’ Unione Sovietica.

Fra i tanti recentissimi eventi che testimoniano la crescita delle tensioni internazionali ricordiamo le manovre delle Forze armate russe in Crimea dove potranno essere installate armi atomiche; la costituzione da parte della NATO di una Forza di reazione rapida (la brigata Spearhead composta da 13 a 30 mila uomini, dotata di supporti aerei, navali e di reparti speciali) con centri operativi in Polonia, Romania, Bulgaria e Paesi baltici; l’inizio di manovre militari congiunte di Stati Uniti, Estonia, Lettonia e Lituania, della durata di ben tre mesi; la partecipazione di unità blindate statunitensi alla parata militare per la celebrazione dei 25 anni di indipendenza dell’Estonia; il ripristino del servizio militare obbligatorio in Lituania (nazione che confina con l’enclave russa di Kaliningrad); l’esame della possibile adesione della neutrale Finlandia all’Alleanza Atlantica.

Ma l’evento più grave, indice del ritorno all’epoca della guerra fredda, è stato l’annuncio ufficiale che la Russia non parteciperà più al gruppo di consultazione congiunta prevista dal Trattato CFE sulle forze armate convenzionali in Europa, che aveva segnato l’epoca del disgelo Est-Ovest. Firmato il 19 novembre 1990 dai rappresentanti dei paesi dell’Alleanza Atlantica e dell’ex Patto di Varsavia (per l’URSS da Mikhail Gorbachev) stabiliva un sostanziale equilibrio di  armi convenzionali e armamenti fra paesi europei dei due campi. Il Cremlino ha ora motivato la decisione di abbandonare il gruppo di consultazione con imprecisate “questioni di sicurezza”. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha convocato una speciale conferenza stampa di pochi minuti per esprimere “rammarico”. Egli da tempo accusa la Russia di violazione del diritto internazionale in Crimea, di ripetuti sconfinamenti di suoi aerei nei cieli di paesi del Nord Europa,  del sostegno con armi, uomini e addestramento alle forze separatiste dell’Ucraina.  

E’ anche pur vero che parecchi paesi dell’Unione Europea non enfatizzano il   peggioramento dei rapporti con la Russia non volendo compromettere il secondo Accordo di Minsk, faticosamente raggiunto, e l’implementazione delle sue clausole, ovvero la tenuta della tregua in Ucraina orientale, l’allontanamento dal fronte delle armi pesanti, la creazione di una profonda zona di separazione tra forze contrapposte, l’aumento del numero di osservatori dell’OSCE, il soccorso alla popolazione stremata. In vista poi di un accordo politico le cui trattative si delineano difficilissime. Il cessate il fuoco si è rivelato molto fragile, l’Ucraina ha denunciato la morte di più di 60 suoi soldati  in varie operazioni intraprese dalle forze separatiste soprattutto nella zona costiera del Mar Nero, presso la strategica città di Mariupol.

Naturalmente la situazione ucraina è stata al centro di numerose riunioni istituzionali europee e di due missioni diplomatiche, rispettivamente a Mosca e a Washington. La prima, il 5 marzo, del presidente del consiglio italiano Matteo Renzi era volta ad allentare l’isolamento politico che grava su Vladimir Putin e sorreggere gli accordi di Minsk, in nome di un’antica e consolidata collaborazione bilaterale, pur nella crisi delle relazioni economiche e commerciali danneggiate da sanzioni e contro-sanzioni.  (Il premier ha cercato di assicurare pure il sostegno russo nella ricerca di una soluzione pacifica, tramite l’ONU, dell’altra gravissima crisi, quella libica). La seconda missione è stata compiuta il 10 marzo a Washington dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk per assicurare un forte impegno statunitense a fermare “l’aggressione dei nostri nemici contro i paesi nostri vicini” “Per questo, ha ribadito, dobbiamo restare uniti. Divisi si perde”. Obama apprezzando il lavoro svolto dalla cancelliera tedesca Merkel e dal presidente francese Holland per la stabilizzazione degli accordi di Minsk, ha però detto: “Sappiamo per esperienza che senza un forte monitoraggio, le intese diventano prive di significato” e pertanto “l’opzione di nuove sanzioni contro la Russia resta aperta”.