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IL DISASTRO DELLA COMPAGNIA DI BANDIERA

Alitalia, perché è precipitata ancora

Ecco quali sono le cause dell'ennesimo fallimento di Alitalia, nonostante i periodici salvataggi. Costi di manutenzione più alti della media europea, troppi i consumi del carburante, scelta strategica sbagliata nel concentrarsi sui voli a corto e medio raggio, troppi piloti (con salari molto alti) in rapporto ai passeggeri trasportati. E noi paghiamo.

Economia 06_05_2017
Piloti di Alitalia

Un triumvirato di manager e un prestito ponte da ben 600 milioni di euro per sei mesi. Sono queste le iniziative che il governo Gentiloni ha intrapreso per mettere una pezza al disastro dell'Alitalia che, anche dopo la privatizzazione, continua a soffrire di un continuo dissanguamento dei conti. Al timone dell'ex compagnia di bandiera andranno: Luigi Gubitosi, ex direttore generale Rai, che avrà un incarico operativo; Enrico Laghi, attuale commissario dell'Iva, con funzioni legali; Stefano Paleari, ex rettore dell'università di Bergamo, che dovrà analizzare il mercato aereo e studiare una strategia di rilancio.

Un'amministrazione straordinaria con cui, di fatto, il governo riduce di nuovo Alitalia a una compagnia di bandiera, a danno dei contribuenti. Tanto più che l'operazione di salvataggio rischia di arenarsi ancor prima di partire se consideriamo che i 600 milioni rischiano di finire presto. Basti pensare che Alitalia, solo nell'ultimo bimestre, ha perso la bellezza di 205 milioni di euro: cifra che rende difficile pensare che, entro sei mesi, riesca non solo a non bruciare tutta la ricchezza statale prevista ma a restituire il capitale con un interesse compresso fra il 10 e l'11% («interessi pari al tasso Euribor a sei mesi maggiorato di 1.000 punti base e dovrà essere restituito entro sei mesi dalla sua erogazione, in prededuzione con priorità rispetto a ogni altro debito della procedura», ha chiarito una nota del Consiglio dei Ministri). È pensabile che Alitalia riesca a far fruttare tanto bene i soldi dei contribuenti da rendere al governo fra i 660 e i 666 milioni di euro fra sei mesi? Più facile ipotizzare che, come una Grecia qualsiasi, la compagnia si limiti non restituire nulla, chiedendo un nuovo prestito secondo la vecchia regola d'oro del credito, per cui a un piccolo debitore si chiudono le porte in faccia, mentre per un grande debitore si stendono tappeti rossi.

Ma come è possibile che Alitalia, anche dopo l'acquisizione da parte di Ethiad, vada così male proprio nel momento in cui il mercato aereo non è mai stato così florido? Basti pensare che nel 2016 il mercato aereo mondiale ha aumentato il proprio fatturato di 35,6 miliardi di dollari e incrementato i passeggeri di 5,9 milioni di unità. E mentre Alitalia accusava un buco di 600 milioni colossi come Lufthansa, British Airways e Air France incassavano utili per 4,5 miliardi.

Per capire i motivi della crisi di Alitalia si può rileggere leggere il rapporto che Gaetano Intrieri, consulente aeronautico, ha svolto per Avionews analizzando il bilancio di Alitalia del 2015 e alcune grafiche più recenti sul bilancio 2016 pubblicate mercoledì scorso dal quotidiano La Verità. A sorpresa si scopre come, all'apparenza, a pesare più del dovuto non sia il costo unitario del personale, fermo a circa 48mila euro l'anno. Un risultato in linea coi dati aggiornati del 2016 dove i 12.428 dipendenti sono costati – in termini di stipendi - 613 milioni di euro, pari a circa 49mila euro l'uno. Una cifra inferiore sia a Ryanair (53.500) che a Lufthansa (59.600), la compagnia tedesca con ben 123mila dipendenti che costano 7,35 miliardi di euro (in Germania però la media degli stipendi è più alta che in Italia anche per le altre professioni). Lo stipendio medio non è però certo l'unico indicatore perché i dipendenti possono anche essere pagati poco, ma essere troppi. Non è il caso di Alitalia se consideriamo i dipendenti nel complesso, ma lo è se consideriamo solo i piloti. Sui voli dell'ex compagnia di bandiera hanno infatti viaggiato 22,1 milioni di passeggeri: ciò significa che Alitalia ha un dipendente ogni 1.778 viaggiatori, cifra inferiore a Lufthansa che invece, arriva a un dipendente ogni 884. Opposta la situazione dei piloti. Lufthansa ne ha 5.400, uno ogni 20.100 passeggeri, mentre Alitalia 1.556, uno ogni 14.200.

A pesare ancora di più dei dipendenti sui conti di Alitalia sono però i costi di manutenzione. Come fa notare Intrieri nella sua analisi “Alitalia per mantenere la sua flotta di aeromobili spende circa 400 milioni di euro annui, che considerando il numero degli aerei in flotta pari a 122 vuol dire che la spesa media per aereo supera i 3milioni 200mila euro”. Una cifra che, divisa per le 409mila ore di volo complessive, significa che Alitalia spende ben mille euro di manutenzione per ogni ora di volo. Un costo molto alto, “almeno del 40% superiore a quella media del panorama internazionale”. Stesso discorso per i costi di handling e di assistenza passeggeri, per un totale di quasi 300 milioni di euro pari a circa il 10% dei ricavi, il 20% in più della media delle altre compagnie aeree. Il servizio di prenotazione e vendita costa la bellezza di 104 milioni di euro, il 3,68% del bilancio complessivo, ovvero il doppio rispetto alla media delle altre compagnie. Male anche – sottolinea il consulente - ”il costo carburante per ore volo pari a 3.200 € circa, parametrato alle ore di impiego dei differenti aeromobili e dei loro consumi medi per ora volo, evidenzia una media costo pari al 6,3% superiore a quella delle compagnie aeree area euro”. Ma la nota più dolente riguarda la voce noleggi, locazioni e fitti per cui “Alitalia di fatto spende oltre 600 milioni di euro per godimento di beni di terzi, un dato significativamente elevato”, pari al 20% del fatturato e al 18% dei costi.

Perfino la scelta di focalizzarsi sui voli a medio e corto raggio è stata fallimentare perché, così facendo, si sono tagliati i costi totali ma non unitari per passeggero che, con una quota di biglietti invenduti pari al 25%, hanno contribuito a trascinare nel rosso i conti della compagnia. Scelte infelici che chiamano in causa il management di Alitalia che, più di tutti, ha la responsabilità del crollo della compagnia. Non che i dipendenti che hanno votato “no” al referendum di salvataggio e i sindacati non abbiano le loro colpe, ma a far precipitare Alitalia, è proprio il caso di dirlo, sono state senza dubbio le scelte “strategiche”. Si fa per dire.