Alfie, ennesima vittima del socialismo sanitario
Alfie è prigioniero di un Paese libero, occupato dal socialismo medico-giuridico. Perché, se per caso potesse lasciare Liverpool e poi trovasse un’assistenza medica migliore fuori dal Regno Unito, sarebbe un imbarazzo umiliante per lo Stato che porta in palmo di mano proprio il suo sistema sanitario nazionale.
Alfie Evans è un’altra, nuova, ennesima vittima del socialismo. Lo spiega acutamente Kira Davis, giornalista di RedState, uno dei più seguiti portali conservatori statunitensi “di base”, nell’articolo This Is the Real Reason Britain Won’t Release Alfie Evans to Italy, cioè “Ecco il vero motivo per cui la Gran Bretagna non permette al piccolo di venire in Italia”. Proviamo leggerlo assieme.
Come tutti sanno, il 19 dicembre l’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool, il nosocomio dove Alfie è ricoverato e ben noto per precedenti a dir poco scandalosi, accampando una scusa farlocca di accanimento terapeutico sbugiardata da chi è del mestiere, ha presentato domanda all’Alta Corte di Giustizia d’Inghilterra e Galles al fine di sottrarre la genitorialità a Thomas Evans e a Kate James, chiedendo al contempo di sospendere la ventilazione del piccolo, e il 20 febbraio quell’aula ha accolto la richiesta. Da allora Alfie è nelle mani del servizio sanitario nazionale (NHS) e dei tribunali del Regno Unito che gli hanno negato il diritto di espatriare, per esempio in Italia, di cui è diventato cittadino, e che hanno in tutti i modi cercato di procurarne la morte in un Paese dove l’eutanasia è illegale. Alfie è insomma stato sequestrato e condannato a morte per non avere commesso alcun reato dall’istituzione che dovrebbe garantire l’assistenza medica e da quella che dovrebbe assicurare la giustizia. E questo nonostante il bambino sia stato capace di sopravvivere diverse ora a un primo distacco del sistema di aerazione.
«Perché?», si domanda la Davis. Anzitutto, perché, quando «[...] un Paese vota per un sistema sanitario socialistico, dà il consenso allo Stato affinché esso tratti le vite come degli algoritmi». Per la cronaca, l’istituzione dell’NHS, grande battaglia dei Laburisti, avvenne nel 1946, tra l’altro sulla scia delle idee di Benjamin Moore (1867-1922), un biochimico di Liverpool, che nel 1912 creò la State Medical Service Association, proseguita poi nella Socialist Medical Association a partire dal 1930. Cosa c’è di male in un sistema sanitario nazionale come quello britannico? Che costa, spreca e non garantisce assistenza medica, come rilevano gli esperti da tempo, addirittura posizionandosi ai livelli più bassi nella classifica del mondo industrializzato, e questo non per caso, bensì appunto perché è socialista. Il tutto è divenuto persino un caso di studio da parte di addetti ai lavori per i quali il sistema sarebbe in verità solo semi-socialista (lo è negli scopi, per esempio) mancando il Regno Unito delle strutture tipiche di un Paese del tutto socialista. Insomma, quello sanitario britannico è un socialismo che per di più non funziona...
Come ragiona ora l’NHS? Con la logica del letto di Procuste: mantenere in vita Alfie costa, i soldi sono pochi, quindi risparmiamoli per quelli che hanno più aspettativa di vita. Se infatti il metro di giudizio è «[...] il denaro anziché le vite, il rischio che la società si assume», dice la Davis, è quello esemplificato dal “caso Alfie”. Infatti, «molto semplicemente, il sistema sanitario nazionale britannico non è in grado di reggere la prospettiva estremante dispendiosa del mantenimento in vita di un bimbo che, date le condizioni irreversibili di salute, probabilmente non vivrà comunque molto più a lungo». Quindi è ovvio che lo Stato non faccia ciò che non «[...] vale lo sforzo profuso». Di una logica agghiacciante.
Quello che invece «[…] non è logico ed è anzi sostanzialmente incomprensibile è la decisione del tribunale non solo di negare ad Alfie le cure, ma anche di negare a lui e ai suoi genitori il diritto di lasciare il Paese per cercare cure altrove». Avrebbe un senso minimo, per quanto cinico, se lo spostamento pesasse, anche solo di qualche ghinea, sul bilancio dell’NHS, cioè «sarebbe un problema di quel fastidioso algoritmo». Ma l’agognato viaggio in Italia lo sosterrebbero le donazioni raccolte e lo Stato italiano. Anzi, liberarsi di Alfie avrebbe sgravato l’NHS di costi e fatiche. Invece niente, porte chiuse violando il più basico principio di democrazia e libertà.
Alla Davis questo ricorda un vecchio documentario sul Muro della vergogna di Berlino, in particolare un’intervista a uno degl’ingegneri costruttori che, con grande sincerità, disse: «Il muro abbiano dovuto costruirlo. Troppe persone stavano andandosene in Occidente e per far funzionare il socialismo c’era bisogno di gente. Abbiamo dovuto costruire il muro per tenerli dentro di modo che vedessero quanto era grande il socialismo, vedessero che funziona». Eccolo il motivo dell’accanimento del sistema sanitario nazionale e dei tribunali britannici contro Alfie e contro i suoi genitori: «[...] impedire ai propri liberi cittadini di lasciare il Paese». Perché se fosse loro consentito di «[...] abbandonare le conseguenze strazianti del socialismo, allora anche altri vorrebbero fare lo stesso. Ma come può funzionare un sistema socialista senza la cooperazione di tutti? E come si fa a costringere la gente a cooperare a quel sistema socialista quando essa si accorge che tale sistema può anche uccidere loro o i loro cari?». Facile, «si costruisce un muro». In Gran Bretagna i tribunali hanno cominciato a erigerne uno, adulterando e strumentalizzando la legge. «Proprio come la Germania Est non poteva tollerare la massiccia fuoriuscita di chi se ne andava portandosi dietro la propria professionalità, il proprio intelletto e il denaro con cui avrebbe pagato le tasse, il sistema sanitario britannico non può tollerare la defezione di coloro che potrebbero trovarne uno migliore altrove». Magari quel posto non è esattamente l’Italia dell’eutanasia tra le righe, ma la Davis non lo sa.
Alfie è insomma prigioniero di un Paese libero, occupato dal socialismo medico-giuridico. Perché se per caso potesse lasciare Liverpool e poi trovasse un’assistenza medica migliore fuori dal Regno Unito, «sarebbe un imbarazzo umiliante per uno Stato che porta in palma di mano il proprio sistema sanitario socialistico come fosse una delle meraviglie del mondo occidentale. Non solo sarebbe costretto ad ammettere che i propri dottori e i propri burocrati hanno sbagliato nel negare cure salvavita al bambino, ma dovrebbe pure scendere a patti con le centinaia, forse migliaia di altri cittadini che vogliono lasciare le catene degli algoritmi dell’NHS in cerca di un’assistenza sanitaria più rapida e moderna».
La gente, spiega ancora la Davis, vive del falso mito secondo cui negli Stati Uniti, Paese che non ha un sistema sanitario nazionale di tipo socialistico come quello britannico, «[...] chi non ha un’assicurazione sulla salute non riceve per nulla cure o trattamenti costosi». Il “caso Alfie” mostra esattamente il contrario. «Domandate a chiunque qui [negli Stati Uniti] e nove volte su dieci vi risponderanno che darebbero fino all’ultimo dollaro, venderebbero qualsiasi bene, pagherebbero debiti per il resto dell’esistenza per salvare la vita di qualcuno che amano piuttosto che starsene seduti senza speranza mentre il loro Stato condanna quella persona alla morte solo perché “non è degna” della vita». Se lo Stato controlla l’assistenza medica, ragiona la Davis, finisce poi per controllare quanto vale la vita di ognuno di noi per le persone che amiamo. Prendiamo il Canada, dove la Davis è nata è dove vige un sistema sanitario nazionale socialistico tipo quello britannico: come mai ogni anno un numero enorme di canadesi si reca negli Stati Uniti per operazioni e cure nonostante paghi tasse nel proprio Paese per essere assistito?
Alfie Evans, e Charlie Gard prima di lui, sono diventati «[...] agnelli sacrificali sugli altari dell’orgoglio e del socialismo», e questo è «[...] nient’altro che vero, concreto, genuino male». Sì, questa economia uccide.