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SIRIA E IRAQ

Aleppo e Mosul, ipotesi di fuga dell'Isis

Fuga di leader jihadisti dell'Isis e delle loro famiglie da Aleppo e da Mosul, per riorganizzarsi a Raqqa. Lo affermano fonti e media locali. E il sospetto è che la fuga sia concordata, con la Coalizione, con la Turchia e con la Russia. Nel caos siriano e iracheno ogni ipotesi è ormai lecita. E questa, visti i precedenti, è particolarmente verosimile, specie se si considerano le ambiguità della politica di Erdogan.

Esteri 22_10_2016
Bandiera nera su Mosul, al momento della conquista

A Mosul la battaglia per la riconquista della “seconda capitale” dell’Isis procede a rilento. Sin dal suo secondo giorno, l’esercito regolare iracheno e i peshmerga curdi hanno iniziato ad incontrare un’accanita resistenza nei villaggi che circondano la città. Contemporaneamente, ad Aleppo, la tregua fra governativi e ribelli si è interrotta quando le milizie jihadiste di Al Nusrah (ex Al Qaeda in Siria e oggi ribattezzata Jabhat Fatah al Sham) hanno aperto il fuoco contro il quartiere di Hamadaniyah, nel settore occidentale della città siriana. Le due battaglie, apparentemente distinte e distanti, hanno una caratteristica in comune: in entrambi i casi, i capi delle milizie jihadiste dello Stato Islamico starebbero lasciando la prima linea per riparare a Raqqa assieme alle loro famiglie. E probabilmente si tratta di una ritirata concordata. Con chi non è dato saperlo.

Le fonti dell’agenzia missionaria Asia News giovedì parlavano di una ritirata dei leader dell’Isis da Mosul, con convogli di bus bianchi (gli stessi usati come trasporti pubblici nel territorio del Califfato) diretti verso Raqqa. Le fonti della notizia sono essenzialmente due: la televisione pan-araba Al Mayadeen e messaggi sui social network lanciati dai miliziani della Falange di Babilonia, una formazione di volontari cristiani ortodossi che combatte assieme ai peshmerga contro gli jihadisti. Voci su una possibile fuga sarebbero circolate sin dall’inizio della battaglia di Mosul. La notizia arriva da un abitante di Raqqa, testimone oculare dell’arrivo di un convoglio di 10 bus scortati da 12 auto. A bordo c’erano donne e bambini che non parlavano l’arabo, o lo pronunciavano con accenti stranieri e si tratterebbe delle famiglie dei leader dello Stato Islamico, che arrivano da tutto il mondo musulmano. Erano scortati, trattati con riguardo e sono stati alloggiati nel quartiere studentesco della città. Una conferma “alla rovescia” arriva anche dal canale ufficiale del Califfato, dove si dice che sono semmai i leader jihadisti di Raqqa a trasferirsi a Mosul, assieme alle loro famiglie, per combattere fino alla morte per la difesa della città irachena. In ogni caso è la conferma che la strada fra Raqqa e Mosul è aperta ed elementi dello Stato Islamico vi possono viaggiare. Considerando che la principale rotta è controllata dai peshmerga curdi, si sospetta anche che i leader jihadisti stiano usando la strada più settentrionale, che passa vicino alla base militare dei turchi di Baashika. E questa ipotesi getta un’ombra sul possibile ruolo della Turchia nella battaglia. Per non parlare dei dubbi sul ruolo della Coalizione, che domina il cielo, ma: come mai non bombarda questi convogli, se questi stanno realmente trasportando obiettivi di primissimo piano da una parte all’altra del Califfato?

Ad Aleppo starebbe succedendo qualcosa di molto simile. Sempre fonti di Asia News affermano che è in corso una fuga dei vertici dell’Isis verso Raqqa e Idlib. I documenti vengono bruciati, i leader fuggono, in uno scenario di sconfitta imminente. Nella ritirata vi sarebbero anche le milizie jihadiste dell’ex fronte Al Nusrah. Ma in questo caso spuntano dettagli ancor più inquietanti e ufficiali. Infatti è lo stesso presidente Erdogan ad aver affermato: “Ieri sera abbiamo parlato di Aleppo. Putin mi ha pregato di fare il necessario perché il gruppo di al Nusrah lasci Aleppo. Ho dato istruzioni al riguardo ai miei collaboratori. Abbiamo un consenso per spingere al Nusrah fuori da Aleppo, di modo che gli abitanti possano trovare la pace”. Quindi l’ex Al Qaeda in Siria è direttamente controllata da Ankara? Questo spiegherebbe molte cose. Per esempio perché Al Nusrah ha raso sistematicamente al suolo le chiese armene di Aleppo e la prima azione che compì a Deir Ezzor (la sua prima “capitale”) è stata la distruzione del memoriale del genocidio degli armeni, come a suo tempo aveva detto la scrittrice Antonia Arslan a La Nuova Bussola Quotidiana. Gli armeni della città siriana hanno sempre temuto un nuovo genocidio turco, questa volta effettuato con milizie jihadiste locali, come ci confidava anche il pastore protestante Seraphim da noi intervistato un anno fa. Lo Stato Islamico c’entra solo marginalmente con la battaglia di Aleppo. Ma nell’area, come segnalano le fonti cristiane locali di Asia News, anche i vertici dell’Isis presenti nella città starebbero trasferendosi. Esattamente come avviene a Mosul. E anche qui non sono bombardati, né dai russi, né dai regolari siriani.

Le ipotesi sono, appunto: un accordo fra la Turchia e la Russia da una parte, fra la Turchia e gli Usa dall’altra. I termini dello scambio sarebbero: riconquista in tempi utili delle città di Aleppo (accordo con la Russia) e di Mosul (accordo con gli Usa), in cambio di una sorta di salvacondotto per i capi dello Stato Islamico. Ma è plausibile? Parrebbe solo una brutta trama complottista, ma ci sono già dei precedenti che rendono queste ipotesi particolarmente verosimili. Il primo è il caso della cittadina di Jarabulus, nella Siria settentrionale, conquistata dalle milizie siriane e turcomanne, appoggiate dall’esercito turco, in modo quasi del tutto “indolore”. In quel caso, gli jihadisti dell’Isis opposero una resistenza quasi solo simbolica. In compenso, nella successiva campagna militare, i turchi e i loro alleati locali combatterono esclusivamente contro i curdi dell’Ypg  che erano evidentemente il loro vero obiettivo. Nel caso dell’Iraq, i turchi sono alleati dei curdi, ma le dichiarazioni di Erdogan fanno presumere che in questo caso siano gli sciiti e le loro milizie a costituire la sua principale preoccupazione. Il ritiro dell’Isis da Jarabulus fa pensare che vi sia un contatto sotterraneo fra Ankara e l’Isis. Ed è la conferma di quel che si è intravisto anche durante la battaglia di Kobane, nel 2014, quando i miliziani dell’Isis passavano il confine turco per rifornirsi, mentre i volontari curdi hanno potuto attraversare la frontiera per rinforzare la città assediata solo in seguito a forti pressioni statunitensi.

Quando il generale in congedo David Petraeus (già comandante in capo delle truppe statunitensi in Iraq) afferma che la vera battaglia di Mosul inizierà dopo la cacciata dell’Isis dalla città, si riferisce proprio alla difficile composizione del dopoguerra. Il generale, al programma Morning Joe, giovedì spiega la variegata composizione del mosaico delle alleanze locali, costituite da attori con obiettivi inconciliabili. All’interno di questa alleanza, la Turchia ha già dimostrato più volte di non considerare l’Isis come il suo nemico principale. Se ora decidesse di offrire un salvacondotto ai suoi capi, sarebbe la fine di ogni speranza. Prima o poi, sulle popolazioni locali, si abbatterebbe di nuovo il loro flagello.