Alda Merini, il talento non è follia
A furia di ricordare sempre e soltanto la sua malattia e i suoi tormenti, si corre il rischio di sminuire la grandezza di una poetessa sedotta da Cristo, Colui che ha cambiato l'umanità e il modo stesso di «guardarsi negli occhi».
Nel «porre l’accento sempre e soltanto sulla sua diversità, sulla sua malattia, sulla sua vita tormentata» si corre «il rischio di interpretare la figura in senso riduttivo, quasi che la sua prodigiosa capacità di scrivere poesia solo a questi fattori fosse dovuto. […] Il disordine psicologico […] da solo non spiega e tantomeno giustifica l’elevato valore poetico dei suoi versi» scrive Simone Bandirali.
In effetti, Alda Merini (1931-2009), la «poetessa dei Navigli», già a sedici anni mette in luce il suo talento e ad appena vent’anni le sue poesie compaiono sulle antologie. Il 1953 è l’anno della sua prima silloge, La presenza di Orfeo, e, nel contempo, del matrimonio con Ettore Carniti, da cui nasceranno in un primo tempo le figlie Emanuela e Flavia e, successivamente, Barbara e Simona. Prolifici anche da un punto di vista letterario sono gli anni che seguono il matrimonio, quando scrive Paura di Dio (1955), Nozze romane (1955), Tu sei Pietro (1962). Nel 1965 per disturbi psichici sarà internata al Paolo Pini fino al 1972. La morte del marito nel 1983, il secondo matrimonio con il poeta tarantino Michele Pierri, un altro ricovero nell’ospedale psichiatrico di Taranto, il ritorno a Milano e la rinata vena poetica contrassegnano gli anni successivi. A parte Terra santa risalente al 1984, escono tra le altre raccolte Testamento (1991), Vuoto d’amore (1991), Ballate non pagate (1995), Più bella della poesia è stata la mia vita (2003), Clinica dell’abbandono (2004), Corpo d’amore. Un incontro con Gesù (2001), Magnificat. Un incontro con Maria (2002), La carne degli angeli (2003). La sua fama sarà consacrata attraverso il conseguimento di numerosi premi letterari tra cui il Premio Viareggio (1996) e il Premio della Presidenza del consiglio dei Ministri (1999).
Il libro Mistica d’amore, edito da Frassinelli nel 2008, raccoglie cinque opere scritte dalla poetessa dal 2000 al 2007, incentrate su alcune figure centrali della tradizione cristiana: Corpo d’amore. Un incontro con Gesù (2001), Magnificat. Un incontro con Maria (2002), Poema della croce (2004), Cantico dei Vangeli (2006), Francesco. Canto di una creatura (2007). In Corpo d’amore la Merini parla dell’incontro con Gesù: «Mi ha sorpreso,/ enormemente sorpreso/ che da una riva all’altra/ di disperazione e passione/ ci fosse un uomo chiamato Gesù». La scrittrice racconta al lettore, anche a colui che non crede, che Gesù l’ha «fatta fiorire e morire/ un’infinità di volte» e «che si preannuncia sempre/ con una grande frescura in tutte le membra/ come se tu ricominciassi a vivere/ e vedessi il mondo per la prima volta». Il Signore «ti cerca per ogni dove/ anche quando tu ti nascondi/ per non farti vedere». Gesù è la più grande rivoluzione che ci sia mai stata o, se usiamo le parole della Merini, «la più grande catastrofe», che ha modificato la civiltà e l’umanità stessa, il modo stesso di «guardarsi negli occhi» e di «porsi delle domande». «Fu scoperto il pensiero, l’uomo scoprì che il suo simile aveva il pensiero, che poteva leggere nel suo pensiero».
Si alternano nella raccolta versi e prosa, come nel prosimetro la Vita nova, l’opera in cui Dante racconta della sua vita rinnovata dall’incontro con Beatrice, che è per lui l’incontro con Cristo. L’uomo è destinato all’eternità, nonostante cerchi di negarlo in ogni modo, ed è destinato ad essere profeta, cioè uomo di Dio. Nell’amore passa questo incontro dell’uomo con l’eterno. Per questo ciò che più occorre all’uomo è l’amore: «Coloro che salvano gli ammalati non sanno che sono malati d’amore, e che basterebbe poco a farli fiorire: un bacio, il canto di una primavera, un fiore mandato al momento giusto, […] una lettera, un abbandono, un momento che duri un’eternità». La memoria della poetessa torna all’infanzia quand’era «bambina assetata di Dio» e alla madre che le presentava i fiori di pesco dicendole: «Questa è l’immagine/ del Signore,/ una fioritura continua,/ una fioritura primaverile,/ un mandorlo in fiore». La Merini anela in ogni momento alla bellezza che «non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori». Per questo lei sta «lì in un angolo di strada» e aspetta che Gesù passi. Come si può incontrare ancora Gesù, oggi come duemila anni fa? La poetessa risponde rivolgendosi direttamente a Lui: «Basta vedere qualcosa/ che reca la tua impronta./ E noi siamo pieni delle tue impronte,/ come se tu fossi passato in ogni casa/ a lasciare segni visibili/ del tuo potere».
Di San Bernardo è il motto Ad Jesum per Mariam. La raccolta Magnificat racconta dell’incontro della poetessa con Maria. Maria è per tutti un esempio. «Il cammino di Maria è l’inverso di quello della maternità, ma è quello giusto. Mentre la donna quando genera ospita il figlio e diventa il suo sacramento di carne, Cristo fece diventare figlia sua madre e la ripartorì nel dolore». Esente dal peccato originale, Maria non fu, invece, immune al dolore. La Merini rilegge le paure che una ragazza di quattordici o quindici anni ha vissuto di fronte all’annuncio dell’angelo, di fronte all’incombenza di dover raccontare tutto a Giuseppe, alla possibilità che lui non le creda: «Ma a Giuseppe/ cosa dirò?/[…] Cosa dirò?/ Che Tu prima di lui/ hai visto la mia solitudine/ e ne hai fatto un corpo?/ Cosa dirò a Giuseppe mio sposo?/ Dirò che l’ho ingannato?/ Dirò che l’ho tradito con te? Ma come si può tradire un uomo/ con un’essenza divina?/ Cosa dirò a Giuseppe, Signore?». Maria è qui guardata come esempio di chi non elude le domande e i propri dubbi. C’è tutta la sua umanità di ragazza che si deve sposare, che è vergine, ma nonostante questo deve rivelare al futuro marito che aspetta un figlio. Un paradosso per chiunque, come un paradosso è la buona novella, l’annuncio del Verbo incarnato. Il suo dubbio si fa paura di morire: «Se Giuseppe mi abbandonasse/ io scenderò in un campo/ per la lapidazione». Il calore dell’invocazione dantesca del canto XXXIII del Paradiso sembra percorrere tutta la raccolta del Magnificat. Maria è figlia e madre. «La sua verginità era così materna che tutti figli del mondo avrebbero voluto confluire nelle sue braccia […]. Era silenzio, preghiera e voce […]. Era così ombra e luce».
Nel Poema della croce si rivisita il dramma dell’umanità del Cristo. Gesù ha patito con noi e per noi, ha portato tutti i nostri peccati sulla croce, ma prima ha pianto per il nostro male nell’orto del Getsemani. Che cos’è l’uomo, «questo commento universale/ agli attacchi dell’amore divino?/ Ogni volta che nasce un uomo/ Dio è attaccato dal suo amore». L’uomo vorrebbe compiere il bene, ma commette il male: «Mentre vorremmo gridare «ti amo»,/ stranamente esce da noi/ un sibilo profondo/ che dice le parole supreme e distorte «io ti odio»».
Nel Cantico dei vangeli sono riletti alcuni momenti salienti della vita di Gesù attraverso figure che lo hanno incontrato o accompagnato, Maria Maddalena, Pilato, Pietro, … Nel dramma di Pietro che riconosce il suo tradimento, la paura di morire e la viltà rivediamo tutta la nostra pochezza, ma anche il nostro stupore per la testimonianza di come lui ha affrontato la morte: «Perché nudo come un delinquente/ rimanevi così puro?/ Lasciami andare, Signore,/ lasciami scappare,/ […] ma rimarrò sempre/ il tuo migliore amico».
Nella figura di san Francesco, da cui deriva il titolo l’ultima raccolta di Mistica d’amore, la Merini vede «un affamato di Dio» e della beatitudine, di quella beatitudine che noi conosciamo, ma che, nel contempo, temiamo, perché dovremmo rinunciare alla nostra ricchezza, al possesso di noi per scoprire la vera vita: «come un bambino che scopre la vita per la prima volta».
Tutto dipende da Dio, tutto deriva da Lui. Il talento artistico è in fondo l’espressione di una riconoscenza e di una gratitudine. A quanti le chiedano come si faccia a scrivere un libro, la Merini risponde: «Si va vicino a Dio e gli si dice: feconda la mia mente, mettiti nel mio cuore […]. Così nascono i libri, così nascono i poeti».