Al successo preferì il pudore L'esempio di Maria Luce
Maria Luce Gamboni doveva interpretare Giulietta nel musical sulla tragedia di Shakespeare. Una carriera assicurata. Ma ha rifiutato per un costume troppo scabroso. Un pudore ormai raro.
Maria Luce Gamboni è la bella cantante diciottenne che aveva avuto la fortuna di essere scelta per la parte di Giulietta nel musical «Romeo & Giulietta. Ama e cambia il mondo», prodotto da David Zard (forse il massimo produttore musicale italiano). L’esordio all’Arena di Verona e poi in giro per i maggiori teatri.
Altro che X Factor. Una carriera assicurata, una visibilità a tutto campo, soldi, forse Sanremo e chissà cos’altro. Ma, a pochi giorni dal debutto, la ragazza ha salutato tutti e se ne è tornata a casa, a Pesaro, dove frequenta l’ultimo anno di liceo e il conservatorio. Come mai il gran rifiuto all’ultimo momento?
Intervistata da Solidea Vitali Rosati per il «Resto del Carlino» del 23 ottobre, ha spiegato che cantare è una cosa, fare lo strip un’altra. Infatti, nella scena d’amore con Romeo avrebbe dovuto indossare solo una camicia da notte trasparente. Così trasparente che si sarebbe dovuto vedere bene che sotto non portava niente. La protagonista mancata ha chiesto alla regia di potere almeno mettersi le mutande e il reggiseno. Ma la risposta è stata perentoria: o nuda o chiamiamo qualcun altro. E lei ha detto: chiamate qualcun altro, «perché al denaro e al mio sogno ho preferito il mio pudore».
Maria Luce fa volontariato all’ospedale pesarese e frequenta da sempre la parrocchia. Ha detto chiaro e tondo che «accettare quel costume di scena voleva dire negare i princìpi in cui credo, fortemente radicati nella mia coscienza di cattolica e di donna. In generale poi non condivido la consuetudine ormai diffusa ovunque e comunque della donna assimilata ad un corpo nudo». In effetti, a ben pensarci, se uno deve cantare, perché deve farlo chiappe al vento? Per esigenze di spettacolo? Ma non era un musical? O per esigenze del regista? Del pubblico non crediamo, dal momento che il pubblico può trovare di più e di meglio su internet. E poi, quelli delle ultime file, devono armarsi di binocolo infrarosso a scansione elettronica?
Ed ecco la grande lezione che la diciottenne Maria Luce dà alle sue coetanee: «Ritengo importante aver verificato che non scendere a compromessi è possibile e dà una grande soddisfazione. Non bisogna avere paura di far prevalere le proprie idee, di ragionare sempre con la propria testa e mai farsi trascinare. Insomma di saper rinunciare a delle opportunità, se si capisce che una esperienza non è adatta, giusta per se stessi». In effetti, una diffusa indisponibilità alle «esigenze di copione» costringerebbe i registi e gli sceneggiatori a fare a meno di inutili, ai fini della narrazione (ripetiamo: inutili), scene hard o di nudo gratuito.
Il vecchio Manzoni, per descrivere la scena in cui la Monaca di Monza finisce per restare incinta di Egidio, usa solo questa frase: «La sventurata rispose». Lasciando il resto all’immaginazione del lettore. E sai che immaginazione ci vuole… Un regista odierno, invece, ci mostrerebbe, con ricchezza di primi piani, i due a letto, nudi e avvinghiati e ansimanti. Come se allo spettatore non bastassero il «sì» iniziale della «sventurata» e il frutto del peccato nella scena successiva. Ma gli operatori dello spettacolo sanno benissimo che per una che fa la difficile ne trovano legioni a cui non par vero.
Il narcisismo e la vanità (nei secoli cristiani, condannatissimi in tutte le omelie) trovano oggi masse sterminate di adepti, il cui luogo-simbolo è la discoteca. Nella quale ognuno balla da solo, balla con se stesso, “si esprime” in moti del corpo che la musica (si fa per dire) si limita a suggerire. Ritornando a Maria Luce, è certo che la sua rinuncia è di non poco momento. Ma fa pensare anche a quanto sia grottesco, ormai, il mondo del cosiddetto spettacolo: ti assumono per cantare e ti ritrovi senza mutande davanti alla platea. Se ti azzardi a dire «scusate, ma che c’entra?» ecco che ti accompagnano alla porta magari scocciati con te per aver fatto loro perdere del tempo. E te ne vai spintonato dalla valanga di quelli che tutte queste storie non le fanno pur di apparire e far soldi.
Quella di Maria Luce Gamboni è una testimonianza molto bella ma anche triste, perché isolata. Pensate: ha nominato il pudore. L’avete mai sentito menzionare in qualche omelia?