Ahed Tamimi, foglia di fico del regime palestinese
Ahed Tamimi è sulle prime pagine di tutta la stampa internazionale da giorni. Appena scarcerata in Israele, è diventata il simbolo della resistenza palestinese: donna, bella ed emancipata. Pochi si chiedono perché sia stata arrestata. Ancor meno pensano all'uso strumentale che ne fanno i palestinesi. Che nel frattempo arrestano i loro giornalisti e blogger, grazie alla nuova legge sulla censura.
Ahed Tamimi è sulle prime pagine di tutta la stampa internazionale da giorni. La diciassettenne palestinese più famosa del mondo è stata scarcerata, ma nessuno racconta perché è finita in un carcere israeliano: è stata filmata mentre schiaffeggiava e prendeva a calci e pugni i soldati israeliani che pattugliavano il suo villaggio di Nabi Saleh.
Nella sua prima giornata da libera è stata subito ricevuta da Abu Mazen che, abbracciandola le ha detto, "tu sei il simbolo della lotta palestinese per ottenere la libertà". Del resto la ragazzina si presta alla narrazione cinematografica delle avventure palestinesi. "Non ha un velo in testa, nemmeno una tunica nera lunga fino ai piedi. Ahed Tamimi ha una cascata di capelli ricci, occhi chiari, jeans e magliette attillata che valorizza le sue forme di diciassettenne. Ahed Tamimi potrebbe essere parigina, berlinese, romana, americana. Una ragazza che va in piazza per protestare contro la riforma della scuola o i tagli al welfare. Invece è palestinese". Così la racconta la stampa italiana.
Che cosa c'è di meglio di una ragazzina che sfida una potenza nucleare? Parliamo della stessa tipetta che alla fine di settembre era ospite al Parlamento europeo a Bruxelles al fianco di Leila Khaled, la celebre dirottatrice palestinese di aerei di linea. La prima, nell'occasione, nel prendere la parola ha detto, “il mondo deve riconoscere la causa palestinese, l’occupazione non è solo il furto della terra, è il sionismo, l’intero sistema di occupazione e non solo gli insediamenti”. La seconda, “I nazisti sono stati processati a Norimberga per i loro crimini. Oggi Israele sta vivendo nell’impunità”. Adesso Ahed è stata premiata anche dal presidente Erdogan, i tg sono tutti per lei, le petizioni patinate pullulano, Amnesty International si è intestata la sua causa, e su Google non si contano la voci che parlano di lei. Il suo visino adorna persino le fermate dei bus di Londra.
Le nostre cronache sono piene di articoli che la riguardano e di racconti a senso unico sui palestinesi vittime di Israele. Nessuno però guarda cosa sta accadendo da tempo nei territori controllati dall’Autorità Palestinese (AP), dove è sistematica la repressione di ogni dissenso. Il 19 giugno, ad esempio, l’ingegnere Ibrahim Al-Masri è stato arrestato e condannato ad un anno di galera oltre che al pagamento di una pesante multa. L'uomo è finito nelle grinfie dell'AP per aver scritto dei commenti su Facebook in cui criticava le forze di sicurezza dell'Autorità che avevano picchiato violentemente alcuni manifestanti a Ramallah, il mese scorso: protestavano contro le sanzioni economiche imposte dal governo sulla striscia di Gaza, che è sotto l'egemonia di Hamas.
L'arresto è l'effetto della Cyber Crime Law secondo la quale "chiunque crei o gestisca una piattaforma di tecnologia informatica che mira a pubblicare notizie che metterebbero in pericolo l'integrità dello stato palestinese, l'ordine pubblico o la sicurezza interna o esterna dello Stato, è punito con la reclusione per un periodo di almeno un anno e a un'ammenda di 5.000 dinari giordani (circa $ 7.000) o con una combinazione di entrambe le pene". Sostanzialmente la legge autorizza, in modo incredibilmente incontrastabile, le forze di sicurezza dell'AP ad arrestare i palestinesi per le loro attività sui social media, specialmente se i post sono ritenuti "offensivi" dagli alti funzionari palestinesi. Una sorta di "polizia dei social network" pronta a purgare i dissidenti. La legge è stata approvata da appena un anno è già il numero delle vittime è difficile da contare. Sono stati arrestati decine di palestinesi, soprattutto giornalisti. Non esiste alternativa all'essere giornalisti di regime, o si è portavoce dell'AP, o non si fa giornalismo. Ai palestinesi è permesso criticare e insultare Israele e gli Stati Uniti, ma è qui che finisce la loro "libertà di parola".
La vicenda di Ibrahim Al-Masri, assomiglia a quella di Amro, il fondatore di Youth Against the Settlements. L'uomo è stato convocato mesi fa dalle forze di sicurezza palestinesi per aver pubblicato sul suo profilo Facebook la notizia dell'arresto di un altro giornalista, Ayman Qawasmeh per aver invitato, l'impopolare e sempre più dispotico Abbas, a dimettersi. Un altro caso piuttosto noto coinvolge il giornalista Jihad Barakat: detenuto per tre giorni per aver fotografato Abbas che con il suo convoglio si fermava vicino a un posto di blocco israeliano. Chissà cosa doveva nascondere quella fotografia. Numerosissimi, intanto, i siti Web chiusi, specie quelli legati ad organi di stampa indipendenti, come al-Quds Network, un emittente di notizie gestito da volontari.
La libera informazione non esiste in Palestina, anche se il problema della libertà di espressione coinvolge un po' tutti. Il giro di vite, soprattutto su Facebook, ha aggravato lo stato di terrore nel Paese. Difficile scorgere un futuro di libertà per i palestinesi: lo stato delle cose rivela che il Paese sta diventando una copia di tante altre dittature arabe. E nelle ultime settimane, la campagna dell'Autorità Palestinese contro i dissidenti politici, o presunti tali, ha raggiunto anche diversi campus universitari palestinesi. Sono decine gli studenti arrestati o convocati per l'interrogatorio. Sebbene non si tratti di misure nuove, fonti palestinesi confermano che l'AP ha recentemente intensificato le sue misure. A scorrere gli elenchi si nota il cospicuo numero di ventenni a cui è stata cucita la bocca. Abdel Salam Kamil, Bilal Tamimi a Hebron, Adam Ziadeh, Mohammed Turkeman, Rayan Kharyoush, Oday Khatib, Awies Al-Ouri, Yazan Tayyah e Hamzeh Abu Qari sono gli ultimi studenti universitari che hanno commesso l'errore di protestare.
La comunità internazionale, che finanzia l'AP, dovrebbe rendersi conto del fatto che questo giro di vite sulle libertà d'espressione gioca solo a favore di Hamas e di altri gruppi radicali palestinesi. Sono proprio questi gruppi che stanno aspettando di accogliere a braccia aperte i disillusi dall'AP. Tuttavia, i media internazionali restano muti di fronte agli spudorati tentativi di annichilire la libertà di espressione da parte dell'Autorità Palestinese perché convinti del fatto che una storia che non colpisce Israele non è "una notizia adatta alla stampa".
E nel frattempo la stampa internazionale fa di tutto per persuadere il mondo a favorire l' "intransigenza" palestinese rispetto al diritto internazionale. Una visione promossa dalla convinzione che l'Occidente sia la causa di tutto ciò che non va in Medio Oriente.