Agonia delle opposizioni: Pd e Forza Italia autoreferenziali
Il Pd entra nell'era post-renziana. Ma l'alternativa è un altro nome scelto dai vertici, con candidato più probabile Nicola Zingaretti, già impegnato come governatore del Lazio. In Forza Italia, Berlusconi nomina vicepresidente Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo. Sono nomine verticistiche, in élite ormai autoreferenziali.
Dopo i deludenti risultati elettorali degli ultimi mesi, Forza Italia e Pd provano a riorganizzarsi e a frenare l'emorragia di consensi. Entrambi i partiti sono all'opposizione del governo Conte, ma mentre gli azzurri mantengono un dialogo con la Lega, alleata dei berlusconiani negli enti locali e in molte regioni del nord, il Pd e i partiti di sinistra osteggiano in egual misura Lega e Cinque Stelle, al centro come in periferia. Sia i dem che i forzisti sono lacerati profondamente al loro interno e non sono affatto escluse scissioni.
Al Nazareno è a tutti gli effetti iniziata l'era post-renziana. L'ex premier da una parte punta ancora a controllare il partito tramite i suoi fedelissimi, dall'altra prova a immaginare per sé un futuro in Tv. Si parla di un programma tutto suo sulle reti Mediaset dedicato a Firenze. La novità degli ultimi giorni in casa dem è l'ufficiale discesa in campo del governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che punta alla segreteria nazionale annunciando la sua candidatura alle primarie. Il reggente Maurizio Martina gioca la sua partita e prova a riannodare i fili del dialogo con i fuoriusciti di Liberi e Uguali e con le altre anime della sinistra, mentre tra i renziani c'è chi punta su Graziano Delrio come candidato anti-Zingaretti. Ma la candidatura di Zingaretti lascia perplessi, visto e considerato che attualmente come Presidente della Regione Lazio l'esponente dem ha davvero poco tempo da dedicare ad un partito da riformare profondamente. Poi ci sono i disfattisti come Carlo Calenda, che guardano già oltre il Pd e sembrano non credere più alla rinascita del partito.
Sul fronte di Forza Italia la nomina di Antonio Tajani a vicepresidente del partito dovrebbe servire, nelle intenzioni di Silvio Berlusconi, a contrastare l'avanzata della Lega e a ridare fiato all'iniziativa politica forzista. Ma la mossa potrebbe anche non sortire gli effetti sperati, dal momento che Tajani, al pari di Zingaretti, ha un'importante funzione che lo assorbe molto, quella di Presidente del Parlamento europeo. Anche nel caso di Forza Italia, quindi, affidarsi a una guida molto impegnata a fare altro, peraltro fuori dai confini nazionali, potrebbe rivelarsi motivo di malcontento per quadri dirigenti e militanti e impedire la rifondazione di un partito che senza Berlusconi appare privo di slancio e di presa sull'elettorato. La figura di Tajani assicura a Forza Italia la possibilità di un saldo ancoraggio al Partito Popolare europeo ma non sembra in grado di rilanciare in modo vigoroso e risoluto il partito, soprattutto al nord. Va peraltro detto che tutta l'area vicina al governatore della Liguria, Giovanni Toti guarda con interesse crescente a un asse privilegiato con la Lega e si vocifera che molti parlamentari forzisti siano pronti a passare con il Carroccio.
La verità è che sia il Pd che Forza Italia preferiscono ripartire dai nomi anziché dalla strategia politica e lo fanno peraltro in modo verticistico, con nomi calati dall'alto o con autocandidature. Senza giudicare i nomi di Zingaretti e Tajani, che probabilmente sono tra i migliori nelle file dem e azzurre, rimangono forti riserve sul metodo di selezione dei quadri dirigenti. Da Pd e Forza Italia non arrivano quindi proposte per il Paese ma solo nominativi di "generali", senza pensare a come rimotivare le "truppe" in fuga. Nessun confronto interno su economia, lavoro, scuola, politica estera, informazione, riforma della pubblica amministrazione, ma solo diatribe interne senza alcun coinvolgimento degli iscritti e delle rispettive basi elettorali. Se Forza Italia e Pd pensano in questo modo di impensierire Lega e Cinque Stelle, sbagliano di grosso. Per accreditarsi presto o tardi come opposizioni credibili bisogna assicurare un equilibrato e democratico ricambio della classe dirigente, non litigando sui nomi ma dimostrando di aver imparato la lezione delle batoste elettorali e confrontandosi con la società civile e tutte le categorie produttive sulle cose da fare per il bene del Paese.