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CINEMA FRANCESE

Agli immigrati servono maestri autentici

Nelle nostre sale d'essai è arrivato da poco il film francese Nelle tue mani, una bella storia sul disagio giovanile e il riscatto sociale. Pellicola che si mette nella scia di altri due film transalpini degli ultimi anni, il simpaticissimo Quasi amici e il più recente Quasi nemici, in cui veri maestri-educatori offrono una possibilità a chi vive nelle banlieue parigine.

Cultura 28_01_2019

Immigrati in Italia ne approdano sempre meno e c'è chi non ne vorrebbe più neppure uno: di questo non vogliamo discutere ora. Invece è urgente parlare di coloro che sono già arrivati in Europa da tempo, o addirittura sono nati qui, figli o nipoti di immigrati. Non si può infatti ignorarli, far finta di nulla, è questo il terreno su cui impegnarsi. Ma sulle modalità e le prospettive di una reale integrazione il silenzio è quasi assordante, davvero colpevole e pericoloso per noi italiani come per tutti gli europei, perché impedisce la possibilità di costruire insieme una convivenza pacifica e costruttiva.

Da dove prendere un suggerimento, un’ipotesi positiva che abbatta le nostre paure e ci richiami alla possibilità di costruire un mondo nuovo, anche nella difficoltà di linguaggi e culture tanto diversi dal nostro ormai confuso modello europeo? Il Paese più in difficoltà, dove le periferie multietniche sembrano ormai sfuggire quasi del tutto al controllo dell'ordine pubblico, è sicuramente la Francia. Tuttavia è proprio da lì che arriva qualche valida idea per il presente e per il futuro, che potrebbe essere decisiva anche per noi in Italia. Tre film, ma anche un romanzo e un saggio, tutti francesi, ci offrono preziosi spunti di riflessione.

Il cinema francese ha presentato nelle sale qualche anno fa con enorme successo Quasi amici di Olivier Nakache e Éric Toledano. Philippe, ricco e colto parigino dai gusti aristocratici ma purtroppo tetraplegico a causa di un incidente in parapendio, assume come badante, quasi per sfida, Driss, un rozzo, trasgressivo ma vitale ragazzone di colore. L’incontro tra mondi apparentemente inconciliabili, nella loro totale diversità, arricchisce in modo inaspettato entrambi, tra risate e commozione, fino a trasformarsi in una autentica amicizia tra il tetraplegico, che ha però molto da insegnare malgrado il grave handicap, e lo scavezzacollo sbruffone che sa trasmettere la gioia di vivere. È una storia vera e vuole mostrare che la personalità raffinata ma ferita di Philippe e la baldanza, accompagnata da errori e abbandoni, di Driss (ha avuto problemi con la giustizia e difficoltà di lavoro) possono trovare una possibilità di condivisione. In fondo il bisogno esistenziale dell’uomo, nella malattia come nell’emarginazione, è sempre quello di essere amato, di avere un amico e aprirsi alla speranza, in un fecondo scambio reciproco.

Più recente ma sempre illuminante per il rapporto con il diverso, proveniente dalle periferie francesi, è il film Quasi nemici di Yvan Attal, che si concentra sul divario culturale tra la borghesia intellettuale parigina e la gioventù inquieta e irriverente delle banlieue. Interpretato magistralmente da Daniel Auteuil, il protagonista Pierre Mazard, brusco, antipatico e reazionario professore universitario di un prestigioso ateneo di Parigi, sembra inizialmente mostrare l’impossibilità di un dialogo tra lui, così intransigente e cinico, e l’alunna magrebina Neïla Salah, insofferente alle regole, ma determinata a diventare avvocato. Travolto dalle proteste seguite ai suoi atteggiamenti di apparente razzismo nei confronti degli alunni di origine straniera, l’esperto docente di retorica si trova costretto, su richiesta della direzione dell’università, a dare lezioni alla studentessa araba. Deve infatti prepararla a un concorso di eloquenza, smentendo nello stesso tempo la propria consolidata fama di docente intollerante e pieno di pregiudizi. Scopre così con stupore l’insospettato talento di Neïla e diventa per lei un vero maestro, tanto da tirare fuori il meglio della ragazza e assicurarle il riscatto sociale: la giovane diventerà un bravo avvocato proprio grazie agli insegnamenti di quel ruvido ma appassionato educatore. Anche Neïla aveva pregiudizi da superare, così come Pierre ha dovuto imparare a trasmettere la sua cultura proprio a lei, di origini e mentalità tanto lontane dalle sue.

L’ultima storia francese sulla possibilità di un futuro per gli emarginati delle banlieue è raccontata nel film Nelle tue mani, di Ludovic Bernard. Mathieu Malinski, un giovane della periferia parigina probabilmente di origini polacche, ha la passione segreta della musica: appena può suona il pianoforte collocato in una stazione di Parigi a disposizione di chi passa. Qui incontra il direttore del Conservatorio Pierre Geithner, che lo ascolta per caso, ne rimane affascinato e vorrebbe aiutarlo a valorizzare il suo talento. Il rapporto tra i due è inizialmente difficile, perché il giovane rifiuta la proposta e preferisce frequentare una piccola banda di quartiere che vive di furti. Solo quando Pierre gli propone di fare le pulizie nel Conservatorio come attività socialmente utile in alternativa al carcere, che deve scontare per essere stato sorpreso a rubare, Mathieu accetta di entrare in quel tempio della musica da cui si sente emarginato e insieme fortemente attratto. Lo scopo del direttore è prepararlo a un concorso che dia lustro al Conservatorio, grazie alle sue capacità fuori del comune, ma alla fine Pierre si appassiona davvero al destino di Mathieu, che diventa un pianista di fama internazionale. Anche qui, come negli altri due film, il riscatto e il successo, dopo tanti contrasti e diffidenze, sono pienamente raggiunti grazie a maestri veri, che riescono a valorizzare la diversità di chi è lontano anni luce dai canoni della benpensante borghesia parigina, che mai si sarebbe aspettata qualcosa di eccezionale da chi non appartiene al suo mondo.

Insomma, sembra quasi che stia emergendo un vero e proprio filone nel cinema francese, secondo cui il riscatto dal contesto svantaggiato della banlieue è possibile, a patto che ci siano educatori che guardano con occhi nuovi chi ha un’altra origine e identità, ma non è meno ricco di possibilità, o persino di talento vero. Purché sia disposto a un cammino serio e impegnativo. Del resto, una riflessione approfondita su una reale integrazione e un pieno sviluppo di ogni personalità, anche di etnia diversa, ha impegnato pure la letteratura e la filosofia francesi, con autori di tutto rispetto. Ci riferiamo a Daniel Pennac che ha scritto, tra tanti divertenti e acuti romanzi, un illuminante Diario di scuola dal punto di vista degli alunni difficili, come quelli che frequentano oggi le scuole di periferia. Ha voluto mostrare come uno sguardo amorevole ma fermo dell’insegnante possa salvare un allievo poco brillante  - per i motivi più diversi - e che ha paura che i suoi errori segnino il suo definitivo fallimento anche per il futuro.

Ma l’analisi più coraggiosa e illuminante, che può diventare un vero faro per insegnanti ed educatori anche in realtà di emarginazione, è quella del giovane filosofo François-Xavier Bellamy. Il suo saggio I diseredati, che merita di essere ampiamente diffuso e conosciuto, mette a nudo le nostre colpe e ci fa capire l'urgenza di trasmettere con passione la cultura a tutti. In particolare a coloro che ne hanno una diversa, opponendosi con forza a chi squalifica la «trasmissione della tradizione e dell’educazione», rifiuto che segna drammaticamente il mondo occidentale. «L’emergenza assoluta oggi consiste nel rifondare la trasmissione del sapere (l’educazione insomma), per offrire alle generazioni future le conoscenze e i saperi che nessuno crea da sé», afferma Bellamy. Questo compito deve coinvolgere da subito tutti, noi occidentali assediati dal vuoto, indifferenti e irriconoscenti rispetto alla nostra eredità culturale, e chi ci vive accanto ma ha una identità diversa, proviene da mondi lontani e ha bisogno di una accoglienza autentica. Grazie a maestri appassionati la nostra cultura non morirà né per noi né per loro, e il patrimonio trasmesso con sguardo amoroso e attento all’altro, chiunque esso sia, «costituirà in futuro l’unità del nostro Paese [la Francia, ma vale anche per noi, ndr] insieme alla libertà di quelli che ci vivranno».