Afghanistan, noi ce ne andiamo i talebani no
Mentre gli occhi della comunità internazionale sono puntati sulle crisi belliche in Iraq, Siria, a Gaza, in Libia e in Ucraina, anche l’Afghanistan prosegue la discesa verso il baratro. I candidati presidenziali Abdullah e Ghani Ahmadzai si sono misurati in un ballottaggio, provocando forti tensioni politiche e istituzionali.
Mentre gli occhi della comunità internazionale sono puntati sulle crisi belliche in Iraq, Siria, a Gaza, in Libia e in Ucraina, anche l’Afghanistan prosegue la discesa verso il baratro a pochi mesi dalla conclusione della missione militare Usa-Nato.
Il presidente afghano Hamid Karzai ha convocato i candidati presidenziali Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani Ahmadzai che si sono misurati in un ballottaggio i cui risultati non sono stati ancora ufficializzati, provocando forti tensioni politiche e istituzionali. Un incontro reso necessario dopo che Abdullah ha fatto sapere che se non verranno accettati alcuni criteri proposti nelle procedure di annullamento dei voti frutto di brogli, potrebbe sospendere la collaborazione con le autorità elettorali rifiutando il verdetto delle urne.
In passato Abdullah aveva ripetutamente minacciato di disconoscere il lavoro della Commissione elettorale indipendente (Iec), sostenuto dalla missione delle Nazioni Unite di assistenza all'Afghanistan (Unama), ma il processo di scrutinio era potuto andare avanti grazie a un duplice intervento del Segretario di Stato americano, John Kerry. Gli Stati Uniti puntano a risolvere il lungo contenzioso tra i due candidati a sostituire Karzai per accelerare la firma del Bilateral Security Agreement (Bsa), l’accordo in base al quale Usa e alleati manterranno in Afghanistan circa 10 mila militari per altri due anni con compiti di addestramento e consulenza delle forze afghane.
Il nuovo presidente, che dovrà ratificare l'accordo che Karzai (da tempo ai ferri corti con l’amministrazione Obama) si è sempre rifiutato di firmare, dovrebbe prestare giuramento il prossimo 2 settembre, non a caso pochi giorni prima del vertice della Nato in Galles che dovrebbe annunciare l’avvio in gennaio dell’operazione “Resolute Support”. L’operazione resterebbe a guida statunitense, ma vedrebbe coinvolti anche contingenti di circa 800 militari italiano e tedesco. L’8 agosto Abdullah e Ghani si erano detti disposti a dare vita a un governo di unità nazionale e a firmare il Bsa, quale che fosse il risultato finale del riconteggio dei voti di 23 mila urne a rischio brogli, ma ora che la vittoria sembra arridere a Ghani con un milione di voti di scarto su 8,1 milioni di schede, il suo rivale (vincitore al primo turno) sembra pronto a rovesciare il tavolo delle trattative.
Dell’instabilità del Paese, accresciuta dalla contrapposizione etnica tra i sostenitori del tagiko Abdullah e del pashtun Ghani, stanno approfittando i talebani, all’offensiva in tutto il Paese grazie anche alle difficoltà dell’esercito afghano che da mesi combatte quasi del tutto privo dell’appoggio delle truppe americane e alleate che stanno lasciando l’Afghanistan. Sul campo di battaglia i talebani sono tornati a condurre operazioni su vasta scala impiegando unità fino a mille combattenti in un singolo attacco. Una concentrazione di forze che non si vedeva dalla grande offensiva contro gli avamposti britannici a Helmand dell’estate 2006 a cui fece seguito il potenziamento delle truppe alleate giunte a contare 140 mila effettivi nel 2010 con capacità di attacco aereo e di artiglieria in grado di scoraggiare i talebani dal manovrare con grandi unità combattenti.
Ora la situazione tattica è tornata vantaggiosa per i talebani, all’offensiva soprattutto nelle province orientali e meridionali lungo il confine pakistano. Nel distretto “caldo” di Sangin, nella provincia meridionale di Helmand, sono stati registrati negli ultimi due mesi 900 morti e oltre mille feriti fra militari, agenti, talebani e civili. Il governatore provinciale, Muhammad Naeem ha precisato che le ripetute battaglie hanno causato la morte di 400 talebani, 270 membri delle forze di sicurezza e 230 civili. La situazione della sicurezza si è aggravata in tutto il Paese e anche nel settore occidentale, dove il contingente italiano oggi ridotto a 1.900 militari non esce quasi più dall’unica base rimasta all’aeroporto di Herat e cura soprattutto il rimpatrio di mezzi e materiali. Uno sforzo logistico che ha richiesto l’impiego di 16 navi commerciali che hanno imbarcato i mezzi e i materiali negli Emirati Arabi Uniti, 695 voli di aerei cargo. Per portare a casa quanto rimasto occorreranno altre 5 navi e oltre 300 voli per un costo finale che sarà noto solo a fine anno.
L’esercito afghano deve fare i conti anche con il crescente numero di “insider attack” compiuti da talebani infiltrati nelle forze militari e di polizia, l’ultimo dei quali ha provocato la morte del generale statunitense Harold Greene e il grave ferimento di un generale tedesco. Il ministero della Difesa afghano ha però respinto energicamente le notizie pubblicate dalla stampa americana secondo cui il 25% degli effettivi delle forze di sicurezza (cioè ben 87 mila militari e poliziotti) sarebbero infiltrati dai talebani e da al-Qaeda.
L’avvicendamento del comando delle forze militari statunitensi e della Nato in Afghanistan tra il generale Joseph Dunford e il collega John Campbell, previsto in questi giorni (ma la data non è stata ufficializzata per motivi di sicurezza) coincide con la fase di più grande incertezza strategica per il futuro dell’Afghanistan. Il generale Campbell avrà il compito di guidare il completo ritiro dall’Afghanistan entro il 31 dicembre o di passare le consegne alla nuova missione “Resolute Support". Ovviamente, se a Kabul ci sarà un presidente che firmerà il Bsa che garantisce tra l’altro l’immunità giudiziaria ai militari alleati che resteranno nel Paese, cioè la garanzia che per nessun reato i soldati alleati potranno venire giudicati dalle leggi afghane.
L'impasse elettorale che ha ritardato di settimane la designazione del successore del presidente Hamid Karzai ha avuto finora effetti molto dolorosi anche sul versante economico con la perdita di almeno undici miliardi di dollari fra mancati introiti e fuga di capitali all'estero come ha sostenuto ieri il ministro delle Finanze afghano, Hazrat Omar Zakhilwal.
Dalla fine del 2001 i soli Stati Uniti hanno speso in Afghanistan, tra costi militari e aiuti a Kabul, 104 miliardi di dollari e per i prossimi anni sono previsti aiuti per le forze militari afghane pari a 4,1 miliardi di dollari annui stanziati per metà dagli Usa e per metà dagli altri Paesi occidentali. La cifra rappresenta quasi il doppio delle entrate fiscali annuali dello Stato afghano, ma potrebbe sfumare in assenza della firma di Kabul sul Bsa.