Afghanistan, fine prematura del processo di pace
Dopo gli ultimi attentati dei Talebani, che hanno provocato anche la morte di un militare americano, il presidente Donald Trump ha sospeso i negoziati con i Talebani. Il processo di pace pareva sul punto di prendere avvio: riconoscimento reciproco di governo afghano e Talebani in cambio del ritiro americano. Ora è tutto da rifare.
"Abbiamo preso nota degli ultimi sviluppi legati ai negoziati di pace in Afghanistan. La Ue sostiene il processo di pace e riconciliazione nelle mani degli afghani. E' necessario che tutte le parti proseguano nel lavoro in modo inclusivo". E in questo quadro, le elezioni presidenziali di fine settembre "sono le più importanti di sempre". Con la dichiarazione di una portavoce della Commissione, l’Unione Europea ha mostrato ancora una volta la sua incosciente inconsistenza di fronte ai grandi eventi di politica internazionale.
Eppure i temi su cui esprimere valutazioni non mancano di certo in una crisi afghana che vede schierati sul terreno ancora migliaia di militari europei e “rivoluzionata” nelle ultime ore dall’improvviso contrordine del Presidente Donald Trump che ha interrotto i negoziati con i Talebani. Domenica il solito tweet del Presidente ha informato il mondo che gli Stati Uniti hanno deciso di congelare i negoziati di pace di Doha che sembravano ormai giunti in dirittura d’arrivo e alla vigilia del vertice che si sarebbe dovuto tenere a Camp David per consentire anche il dialogo tra Talebani e governo afghano. Il Presidente ha richiamato l’inviato speciale per l’Afghanistan, Zalmay Khalizad e ha annullato anche il vertice che aveva convocato segretamente a Camp David, invitando i leader Talebani e il presidente afghano Ashraf Ghani. Ospiti che Trump avrebbe ricevuto separatamente per poi farli incontrare alla sua presenza.
La bozza di accordo, che sembrava ormai largamente condivisa, prevedeva il graduale ritiro delle truppe Usa dal Paese entro 16 mesi, quindi subito prima delle presidenziali del 2020 in cui Trump punta a farsi eleggere per il secondo mandato. I primi 5.400 militari statunitensi sarebbero stati rimpatriati entro 135 giorni dalla firma dell’accordo e il ritiro totale delle truppe Usa (oggi 14mila unità) e alleate era previsto entro 16 mesi, cioè per ottobre/novembre del prossimo anno.
A pochi giorni dal 18° anniversario degli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti (circa 3mila morti), che diedero il via al conflitto afghano con l’invasione statunitense e la successiva caduta del regime islamista, Trump ha quindi motivato lo stop alle trattative con la recrudescenza degli attacchi effettuati in diverse aree dai Talebani che hanno provocato negli ultimi giorni una quindicina di morti, incluso un soldato americano. “Che razza di gente può uccidere così tante persone per tentare di avere più potere negoziale? Così hanno solo peggiorato le cose!”, ha lamentato Trump che sembra aver scoperto solo ora quanto siano sanguinari i Talebani. Miliziani che hanno sempre abbinato i colloqui di Doha con attentati contro i civili e forti pressioni militari nelle aree più esposte dove le truppe di Kabul sono più deboli, specie ora che la presenza alleata è ridotta a 15mila statunitensi e 7mila militari della NATO con compiti quasi esclusivamente addestrativi e logistici.
Difficile quindi comprendere cosa abbia indotto Trump a tornare sui suoi passi dopo i numerosi tweet ottimistici delle scorse settimane. A quanto sembra Trump ha ceduto agli inviti alla cautela formulati dal segretario di Stato, Mike Pompeo, che ha confermato che gli Usa continueranno a premere sui Talebani per ottenere impegni significativi, continuando a fornire assistenza militare alle forze armate di Kabul. Oppure Trump ha subito le pressioni del Pentagono che teme una disfatta delle truppe di Kabul dopo il ritiro di altre forze statunitensi mentre il governo afghano del presidente Ghani lamenta da tempo di essere stato escluso dai negoziati. “Il presidente Trump ha fatto bene” a interrompere i colloqui, ha commentato il portavoce del presidente afghano, “ora i Talebani devono trattare direttamente col governo afghano, anche se per adesso non ci sono le condizioni”. Un altro aspetto che potrebbe aver indotto Trump a interrompere le trattative potrebbe essere proprio quello del riconoscimento reciproco tra il governo afghano e i Talebani; questi ultimi considerano Ghani un “fantoccio degli USA” e si sono sempre rifiutati di negoziare direttamente col governo di Kabul.
Dura la reazione dei Talebani. “Gli Usa pagheranno il prezzo più alto per questo”, ha detto il portavoce Zabiullah Mujahid, senza però escludere una ripresa dei colloqui con gli Usa. Il 6 settembre il generale David Petraeus, ex direttore della Cia e già comandante delle truppe Usa e alleate in Afghanistan, aveva espresso critiche nei confronti del ritiro statunitense dall’Afghanistan. “Siamo andati in Afghanistan per una ragione precisa: a causa dei Talebani il paese era diventato il rifugio dal quale al-Qaeda ha preparato gli attacchi delll’11/9. E ci siamo rimasti per impedire a loro o allo Stato Islamico di mantenere quel rifugio. Adesso l’ultima cosa che vorremmo è dare di nuovo a qualcuno questa possibilità”. Circa l’accordo con i Talebani il generale Petraeus ha ribadito che “servono salvaguardie e tempo per confermare che i Talebani abbiano la capacità e la volontà di mantenere la parola data. Personalmente ne dubito. Un nostro ritiro parziale dovrebbe comunque mantenere una capacità militare di supporto aereo, antiterrorismo, intelligence, evacuazioni sanitarie. Nutro preoccupazioni circa la reale volontà dei Talebani di onorare la Costituzione democratica dell’Afghanistan”.