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ELEZIONI GERMANIA

AfD, le ragioni di un successo anche se incompleto

Le elezioni in Germania sono state vinte dalla Merkel, ma con un 4.7%, che equivale a 2 milioni di voti, si fa notare Alternativa per la Germania. Un risultato eccezionale se si considera che si è costituita sei mesi fa.

Esteri 24_09_2013
elezioni in Germania

In attesa dell’esito di quelle che saranno trattative (forse) non brevi e (altrettanto forse) non facili, tra la stravincente Unione CDU-CSU di Angela Merkel e la SPD di Sigmar Gabriel, merita una riflessione il risultato tutt’altro che irrilevante ottenuto dall’unico nuovo raggruppamento politico presentatosi alle elezioni per il Bundestag di quest’anno, AfD, Alternativa per la Germania. Sarà pure fallito il tentativo di entrare in parlamento, ma con un percentuale di astenuti mantenutasi sotto il 30%, il 4.7% di consenso significa oltre 2.000.000 voti raccolti (quanto suona ridicola la definizione di “piccolo gruppo di persone qualificate” usata da Gian Enrico Rusconi su “La Stampa” del 23 settembre), tanto più in un contesto mediatico apertamente e diffusamente ostile. Sarà pur vero che i due partiti popolari escono entrambi rafforzati, ma non si può negare che il risultato ottenuto da AfD, costituitasi solo sei mesi fa, sia eccezionale e, visto la presenza su tutto il territorio federale, da leggere e interpretare in prospettiva.  

Ospite, la sera del 22 settembre, della trasmissione del canale pubblico ARD dedicata ai risultati, il portavoce di AfD, Bernd Lucke ha dovuto faticare non poco per correggere l’immagine che il noto conduttore Günther Jauch ha cercato di dare del nuovo raggruppamento, definito “a destra dell’Unione”. “Non accettiamo questa collocazione politica, sia per i contenuti delle proposte, sia perché i nostri militanti e i nostri elettori per formazione e storia sono molto eterogenei tra loro.” In sostanza, ha tenuto a sottolineare Lucke, e corrisponde al vero, tra chi ha scelto AfD ci sono ex liberali, ex verdi, ex socialdemocratici, ma anche delusi dall’Unione cristiano-democratica. Quanto ai contenuti, se è vero che nel suo programma elettorale AfD parlava di “scioglimento regolamentato dell’euro-zona” e della “reintroduzione delle monete nazionali”, esso contemplava anche l’alternativa “creazione di unioni monetarie più piccole e più stabili” e la necessità che “ogni popolo possa decidere democraticamente la propria moneta”. A proposito dei costi provocati dalla cosiddetta “politica di salvataggio” la richiesta di AfD era che “non siano sostenuti dai contribuenti” e piuttosto siano “banche, hedge-fonds e grandi investitori, cioè i profittatori di quella politica, a risponderne”. E qui va data ragione a Rusconi quando sostiene che “questo partito costringe a ragionare seriamente sull’euro”, tanto che anche il commento a caldo di Enrico Letta (ha definito la mancata entrata di AfD nel Bundestag “un buon segnale per l'Unione europea") finisce col risultare piuttosto ingrato, se non superficiale o semplicemente di parte.  

Una considerazione la meratino anche i Verdi tedeschi, che qualcuno fino a poco tempo fa dava addirittura al 20% e che invece si devono accontentare di un 8,4%. Le ragioni della débàcle sono sicuramente diverse, su tutte la scelta di puntare su di un programma elettorale fatto di divieti su divieti, alcuni dei quali, per un partito che aspirava a governare la Germania, oggettivamente prossimi al ridicolo. Ancor più, probabilmente, l’emergere negli ultimi mesi delle posizioni pro-pedofilia assunte durante gli anni Ottanta da alcune delle personalità più in vista del partito, altro che “lo scippo compiuto dalla Merkel ai loro danni, con l’annuncio della chiusura delle centrali nucleari” (ahimè sempre Rusconi, il 23 settembre): nessuno “scippo”, anche perché, tra i tanti successi interni, è proprio nel settore energetico che la politica economica merkeliana ha dimostrato i limiti maggiori e delle cosiddetta Energiewende, la “svolta energetica” (che doveva comprendere anche il progressivo smantellamento della centrali nucleari).    

Da ultimo il commento che abbiamo raccolto da un cattolico liberale come Gerd Habermann, severo critico dello Stato assistenziale e preoccupato osservatore delle tendenze neo-socialista diffuse sul continente europeo: “Questi risultati non aprono alcuna prospettiva né di riforme liberali in Germania, né di realismo circa il tema Euro. Grazie alla buona congiuntura in corso, i problemi verranno ulteriormente rimandati. Sono molto dispiaciuto che a causa dello sbarramento quasi un 10% della popolazione tedesca, d’ispirazione liberal-conservatrice, non abbia una propria rappresentanza nel Bundestag”.