Addio a Scaccia, signore del teatro
Un ricordo del grande attore, scomparso mercoledì scorso a 91 anni: geniale ed estoverso, considerava "sacra" la sua missione...
«Basta col teatro: compio novant’anni e mica posso andare in scena col bastone. Come diceva Oscar Wilde la tragedia della vecchiaia non è quella di essere vecchi, ma quella di essere ancora giovani».
Così ci rispondeva Mario Scaccia alla vigilia del suo novantesimo compleanno, il 26 dicembre 2009, in un’intervista in cui dimostrava tutto il suo spirito corrosivo e la sua intelligenza ancora incredibilmente lucida (aveva anche un blog su internet). In realtà, quell’addio al teatro il mattatore non l’aveva mai dato, recitando fino a poche settimane fa. Protagonista sempre, anche sul letto dell’ospedale, dove è stato lui a chiedere l’estrema unzione.
D’altronde, il senso del sacro faceva parte del suo modo di essere, «un attore è come un sacerdote», amava dire. «In realtà sarà un compleanno molto triste – ci aveva confessato allora –: vivo con mia sorella che è malata di alzheimer. Per fortuna ho tanti amici, colleghi e allievi che mi vogliono bene».
Sorrideva, però, orgoglioso quando ricordava i suoi primi passi sul palco: «Debuttai a tre anni nei panni di una bambina nella filodrammatica di mia zia. È stata la guerra, però, a farmi scegliere il mestiere d’attore: a vent’anni ero ufficiale in Sicilia, e fui fatto prigioniero dagli americani che mi portarono in Marocco. Vi rimasi tre anni e lì, tra i miei commilitoni, cominciai a recitare sul serio.Tornato a Roma, abbandonai gli studi di Pedagogia e mi iscrissi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica».
Caparbio, vendette anche il suo appartamento per mantenersi. Per questo lui, a lungo insegnante, capiva i giovani. «In tanti vogliono fare l’attore. Ma oggi il teatro viene osteggiato e ha perso la sua qualità più bella: quella di riunire le persone intorno a un’idea».
(tratto da Avvenire 27-1-2011)