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PAPA

Ad attendere il Papa una Bolivia "agitata"

Diversi gruppi hanno annunciato che scenderanno in piazza durante la presenza del Pontefice in Bolivia. E anche la Chiesa, vessata dal regime di Evo Morales, si aspetta un miglioramento delle relazioni.

Esteri 08_07_2015
Attesa per il Papa

Manifesto ufficiale Papa in Bolivia

Il viaggio di Jorge Mario Bergoglio nella sua America Latina va avanti. Oggi alle 16,30 (ora locale), è previsto il suo arrivo in Bolivia, all’Aeroporto Internazionale El Alto (ad un’altezza di oltre 4 mila metri). Successivamente il pontefice viaggerà per circa 13 chilometri a bordo della papamobile fino a La Paz, dove incontrerà il presidente boliviano Evo Morales. 

Il tè di coca che sarà offerto al Santo Padre dal presidente boliviano sarà al centro dell’attenzione della seconda tappa del nono viaggio internazionale del Papa. Ma, al di là dei problemi derivanti dall’altitudine e del risalto dato all’argomento delle foglie di coca, Bergoglio dovrà sicuramente affrontare situazioni ancora più complesse durante la sua visita nel cuore del Sud America, come le contraddizioni caratteristiche della regione. 

Diversi gruppi hanno annunciato che scenderanno in piazza durante la presenza del Pontefice in Bolivia: gli indigeni che abitano nel Parco Nazionale Isiboro Secure (TIPNIS), la confederazione degli autisti, la federazione nazionale delle cooperative minerarie (Fencomin), le mogli dei poliziotti, oltre ad altre organizzazioni sindacali che minacciano di fermare il paese. In più l’Associazione Nazionale della Stampa (ANP) consegnerà una lettera con un appello a Papa Francesco, chiedendo la sua mediazione in difesa della libertà di stampa.

Ma chi è Evo Morales? Nato in una famiglia povera nel 1959, di origine indigena come la maggioranza dei boliviani, non si è mai laureato e ha lavorato a lungo come raccoglitore di coca (in Bolivia è legale la sua coltivazione per scopi terapeutici e religiosi). In quasi due secoli di indipendenza, è stato il primo “amerindio” a diventare presidente e si trova nel primo anno del suo terzo mandato sotto la bandiera del “socialismo indio”.

La Bolivia di Evo Morales appare al mondo come una nazione piccola (circa 11 milioni di abitanti) con un percorso miracoloso di sviluppo economico perché, secondo fonti ufficiali, da quando il presidente indigeno è salito al potere (nel 2006) il PIL della Bolivia si è triplicato e il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà è calato del 25%. 

Ma in Sud America non tutto ciò che appare è come sembra. Morales segue lo stesso percorso fatto inizialmente dall’ex presidente del Venezuela Hugo Chavez, morto nel 2013 e sostituito dal suo vicepresidente Nicolas Maduro, e dal presidente dell’Ecuador Rafael Correa: tutti personaggi definiti come populisti dal settimanale britannico “The Economist”.

La giornalista e politologa boliviana Susana Selene Anteño pone la lente di ingrandimento sulla realtà boliviana, affermando che le cifre ufficiali sono truccate. Ad esempio afferma che la “Bolivia è il paese dell’America Latina che investe di meno in salute” e fa notare che l’investimento annuale pro capite è di 174 dollari, al di sotto di quello dell’Uruguay (1.400 dollari), del Cile (1.200) e di Cuba (600). Il risultato è che il sistema sanitario boliviano è in crisi, con il più alto tasso di mortalità infantile dopo Haiti. 

L’avvocato William Herrera Añez, nel suo libro “Il processo del terrore”, ci spiega che -contrario a quello che si pensa da questa parte del mondo- il “processo di cambiamento” instaurato da Evo Morales non ha modificato la tradizionale organizzazione “centralista e presidenzialista” del paese, per cui il potere non è realmente nelle mani del popolo ma “nella volontà del governante di turno”. Ecco da dove nasce la celebre frase di Morales: “io faccio qualsiasi cosa, anche se illegale, e dopo sistemeranno tutto gli avvocati”. Un modello “autocratico” già fallito in Venezuela, paese nel quale si sta affrontando una crisi sociale e economica senza precedenti. Ora anche in Bolivia si parla dell’elezione indefinita del presidente, così come in Ecuador. 

In questo scenario politico, Morales si è anche scagliato contro la Chiesa boliviana, visto lo sguardo critico dei vescovi sui problemi del narcotraffico e della persecuzione degli oppositori. È importante evidenziare che, dal 2009, la Bolivia è diventata uno stato laico, ma con l’arrivo di Papa Francesco le autorità boliviane sono diventate più cattoliche che mai. Lo ha denunciato il portavoce della Conferenza Episcopale Boliviana, Jose Fuentes: “Vediamo che tentano di appropriarsi della figura del Papa e tentano di strumentalizzare politicamente la figura del Papa”.

Infatti il sacerdote boliviano Milton Murillo Ortiz, di passaggio a Roma, ci ha spiegato che in realtà manca un dialogo fraterno tra la Chiesa boliviana e il governo di Morales. Ma cosa si aspettano i sacerdoti boliviani? “Chiediamo rispetto da parte dell’autorità, chiediamo che ci permettano di lavorare per aiutare i più bisognosi… Ci sono tanti posti lontani dove neanche lo stato arriva e noi invece possiamo arrivare come Chiesa missionaria, ma ci hanno tolto la possibilità di portare l’aiuto che arriva dall’Europa, soprattutto nei settori della salute e dell’educazione”, ha detto padre Milton. 

Sicuramente esiste una grande empatia tra la Teologia del Popolo, che ispira Papa Francesco, e il socialismo del XXI secolo, instaurato in paesi come Venezuela, Ecuador e Bolivia. Ma una cosa è essere a favore dei poveri e un'altra a favore della povertà.

Intanto, più di 9 milioni di cattolici celebreranno l’arrivo di Papa Francesco in Bolivia. Tra i momenti più importanti si attendono quelli dedicati alla visita nel luogo dell’assassinio del martire della democrazia, il gesuita Luis Espinal, ucciso nel 1980 ai tempi della dittatura, l’incontro con il porporato Julio Terrazas, “patriarca” molto amato e simbolo delle sofferenze della Chiesa locale, e la visita ai detenuti di uno dei penitenziari più duri, il carcere di Palmasola.