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VERSO IL DIACONATO FEMMINILE?/2

Accolite, il contrasto con la prassi della Chiesa

Gli ordini minori sono profondamente legati al Diaconato nella loro funzione, quindi devono esserlo anche quanto all’espressione del segno. Anziché sanare una prassi che rompe con la Tradizione liturgica e ne attacca la pregnanza simbolica, il Papa si è avvalso di tale modo di agire per svuotare definitivamente di significato i ministeri istituiti e renderli mere funzioni. 

Ecclesia 25_01_2021

Questa storia dell’approvazione delle Lettrici e delle Accolite, come ministeri istituiti, non convince affatto; essa si pone in aperto contrasto con la prassi e la logica sacramentale della Chiesa. Per capire le ragioni profonde di questa contrarietà, proviamo a ripartire dall’importante testo di San Tommaso citato nell’articolo precedente (vedi qui): «Nella Chiesa primitiva, a causa della scarsità di ministri, ai diaconi erano affidati tutti i ministeri inferiori [...]. In seguito però, il culto divino venne ampliato; e quanto la Chiesa aveva implicitamente in un solo ordine, fu affidato esplicitamente a diversi altri ordini» (Super Sent., lib. 4 d. 24 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 2). Ad esso ne fa eco un altro, appena precedente: «In esso [diaconato] vengono inclusi tutti gli ordini inferiori».

Gli Ordines minores sono dunque concepiti come “corona” del Diaconato, un’estensione del primo grado dell’Ordine, ad esso legati e ad esso inferiori. A tali ordini era premessa la tonsura chiericale (per distinguerla da quella monastica), che era la porta per entrare nel clero. Il termine greco κληρο fa riferimento alla porzione ricevuta in sorte, in eredità; per questa ragione il rito della tonsura comprende il taglio di cinque ciocche di capelli, accompagnati dalle parole del salmo 16(15): «Dominus pars hereditatis meae et calicis mei, tu es qui restitues hereditatem meam mihi». Questo salmo è probabilmente di origine levitica, perché indica una caratteristica esclusiva dei membri della tribù di Levi: mentre infatti le altre tribù d’Israele avevano ricevuto una porzione della Terra Promessa, a quella di Levi era stato destinato lo stesso Signore, come propria parte di eredità, ad indicare la messa a parte di questa tribù per il culto divino. I figli di Levi erano tre: Gherson, Keat e Merari (cf Nm 3, 17); ai loro discendenti venne assegnato un ministero specifico che riguardava il «servizio alla Dimora» (Nm 3, 7), per distinguerlo espressamente dal sacerdozio legato al sacrificio, affidato ai discendenti di Aronne.

Bisogna comprendere che il Diaconato è sempre stato inteso come l’espressione cristiana del ministero levitico (che non è mai una semplice “trasposizione”) - come attestato, per esempio, dall’antico Sacramentario Leonino e dal più recente Pontificale Romanum (1961-1962)-, ben distinto dal Presbiterato, che ha invece il suo antecedente tipologico nel sacerdozio dei discendenti di Aronne (oltre che nel sacerdozio di Melchisedek), strettamente legato all’azione sacrificale. Il Concilio Vaticano II ricorda questa distinzione affermando che ai diaconi le mani vengono imposte «non ad sacerdotium, sed ad ministerium» (LG 29).

Ora, questo «servizio della Dimora» si estende dall’edificio sacro di pietra a quello delle pietre vive dell’edificio spirituale (cf. 1Pt 2,5); esso dunque comprende la custodia della casa di Dio (Ostiariato), l’annuncio della Parola (Lettorato), la liberazione dei catecumeni dal potere del Maligno (Esorcistato), particolari servizi liturgici e di assistenza al Vescovo (Accolitato e Suddiaconato) ed altre opere caritative.

Se dunque gli ordini minori sono profondamente legati al Diaconato nella loro funzione, essi devono esserlo anche quanto all’espressione del segno. L’ordinazione diaconale associa i candidati a Cristo nel suo ministero, ossia nel suo prendersi cura della Dimora del Padre (cf. Gv 2, 16), inverando in tal modo la realtà tipologica del servizio levitico, che prefigurava a suo modo Cristo. Questo accudimento della Dimora ha una valenza chiaramente sponsale: Cristo si prende cura della Chiesa, sua sposa, nelle sue membra vive, delle quali il tempio-chiesa è espressione materiale. Che il Diaconato sia legato alla sponsalità di Cristo, in questo suo tratto specifico, distinto da quello del Presbiterato, lo dimostra l’ininterrotta tradizione della Chiesa di richiedere la continenza ai candidati a questo grado dell’Ordine; la stessa cosa avviene anche per i Suddiaconi (rimando nuovamente al libro edito dalla Nuova Bussola “Vi dichiaro celibi e casti”), almeno a partire dal Concilio di Cartagine del 401, in ragione della loro stretta associazione con il Diaconato.

Ora, se al Suddiacono veniva - e, laddove esso permane, viene ancora – richiesta la continenza in ragione del suo legame con il Diaconato (e si è visto il significato sponsale del suo essere maschio e celibe, o almeno continente), gli altri ordini minori non dovrebbero almeno conservare il segno della mascolinità, come sempre la Chiesa ha fatto?

Quando, il 15 marzo 1994, la Congregazione per il Culto Divino permise, con una lettera circolare, l’accesso delle donne al servizio dell’altare, dovette chiarire che «i predetti servizi liturgici dei laici sono compiuti “ex temporanea deputatione” a giudizio del vescovo, senza alcun diritto a svolgerli da parte dei laici, uomini o donne che siano». La connotazione della temporaneità del servizio liturgico, che richiama espressamente il can. 230 § 2, venne sottolineata precisamente per far capire che la concessione non poteva riguardare i ministeri istituiti, i quali sono per loro natura stabili. All’epoca era ancora chiaro che la mascolinità, per i candidati a tali ministeri stabili, era condizione necessaria, affinché il segno fosse espresso nella sua verità.

La circolare, però, creava già di fatto un conflitto: da un lato salvaguardava il ministero istituito, ma dall’altra apriva ad una prassi che contraddiceva la tradizione liturgica della Chiesa e indeboliva, fino a sfigurarlo, il segno. Nemmeno le antiche diaconesse potevano in alcun modo servire all’altare: il loro servizio liturgico si limitava all’assistenza dei Battesimi delle donne adulte (dunque per decenza, poiché il Battesimo avveniva per immersione e richiedeva la denudazione), oppure, nel caso di Badesse, nel portare la S. Comunione all’interno del Monastero alle Monache ammalate.

Anziché sanare una prassi (facoltativa, ma dilagante) che rompe con la Tradizione liturgica e ne attacca la pregnanza simbolica, papa Francesco si è avvalso di tale modo di agire per svuotare definitivamente di significato i ministeri istituiti e renderli mere funzioni.