Accogliere tutti? L'Italia non se lo può permettere
Fattori emotivi, pressioni ideologiche e considerazioni politiche influenzano opinione pubblica e scelte di governo in materia di accoglienza di emigranti, e di profughi, proprio mentre la pressione degli uni e degli altri ai confini europei richiederebbe la massima lucidità e concretezza. A dirlo, tra gli altri, intervistato di recente dalla Bbc, è Alexander Betts, docente di Studi su rifugiati ed emigrazioni forzate a Oxford.
Fattori emotivi, pressioni ideologiche e considerazioni politiche influenzano opinione pubblica e scelte di governo in materia di accoglienza di emigranti, e di profughi, proprio mentre la pressione degli uni e degli altri ai confini europei richiederebbe la massima lucidità e concretezza. A dirlo, tra gli altri, intervistato di recente dalla Bbc, è Alexander Betts, docente di Studi su rifugiati ed emigrazioni forzate all’Università di Oxford. Analisi, studi accademici e discussioni sui flussi migratori – sostiene il professor Betts – tendono a concentrarsi soprattutto su questioni morali e politiche mentre l’attenzione, oggi più che mai, dovrebbe rivolgersi prima di tutto agli aspetti “misurabili”: in altre parole, al calcolo della effettiva capacità di accoglienza di ciascun Paese.
Il ragionamento del professor Betts è fondato. Gli immigrati sono una risorsa, ma a certe condizioni. Di norma i flussi migratori vanno da regioni povere, inospitali, sovraffollate verso luoghi dove terra, spazio, risorse naturali e opportunità di lavoro abbondano. La rivoluzione industriale in Europa, ad esempio, ha determinato un rapido e intenso esodo dalle zone rurali alle città, provocato dalla crescente domanda di forza lavoro da parte delle industrie manifatturiere nascenti. Gli Stati Uniti erano in piena espansione quando nei secoli scorsi hanno attratto e accolto milioni di emigranti europei. Se dunque si dirigono verso stati, regioni e città ricchi di risorse e di opportunità, gli emigranti ne accrescono ricchezza e benessere traendone a loro volta beneficio perché trovano lavoro e hanno modo di integrarsi nel tessuto sociale. Ma non sempre è così e allora sorgono inevitabilmente problemi, anche gravi, di carattere economico, sociale e di ordine pubblico.
Le situazioni peggiori si verificano nei Paesi a più basso sviluppo: sono le immense bidonvilles delle città africane, ad esempio, malsane e insicure, dove milioni di persone vivono di rifiuti e scarti, cercano in qualche modo di guadagnarsi la giornata, se necessario mandando ad accattonare e a frugare nelle discariche persino bambini appena capaci di camminare, e lottano per occupare qualche metro quadrato protetto da assi, cartoni e plastica che chiamano casa e un tratto di marciapiede dove mendicare o vendere qualcosa al mercato nero. È il risultato di un esodo in atto da decenni dalle campagne verso i centri urbani: ma prodotto solo in minima parte dalla domanda di lavoro nei settori economici moderni e piuttosto dalla estrema scarsità di servizi e infrastrutture nelle aree rurali e da politiche governative che penalizzano le attività agricole.
Dunque, per evitare che delle buone intenzioni portino invece danni difficili poi da riparare, mentre l’Europa si impegna a elaborare politiche unitarie di accoglienza per emigranti, e profughi, i fattori misurabili dovrebbero essere tenuti in considerazione al fine di compilare, come suggerisce il professor Betts, una sorta di “indice di assunzione di responsabilità” in base ai bisogni e alle risorse degli Stati che compongono l’Unione Europea. La situazione economica, le previsioni di crescita del Pil, la domanda di forza lavoro, e in quali settori economici, sono elementi decisivi nel determinare di quanti e quali immigrati ha bisogno un Paese. Analoghe considerazioni valgono per il numero di profughi che un Paese può ospitare. Altri fattori sono altrettanto rilevanti. Contano gli andamenti demografici, innanzi tutto, che dipendono non solo dal rapporto tra nascite e morti, ma anche dal numero di persone che emigrano: il che non accresce automaticamente la capacità di accogliere immigrati e, nel caso di fuga di cervelli, anzi la riduce. Un altro elemento importante è la densità di popolazione: per metro quadrato, ma anche rispetto alla disponibilità di alloggi. E ancora, deve essere valutata la situazione dei servizi sociali, in particolare quelli scolastici e sanitari.
Un “indice di assunzione di responsabilità” non vedrebbe l’Italia nelle prime posizioni. Secondo i dati economici più aggiornati, in Italia il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12%, quella giovanile supera il 40%. Il 5,7% delle famiglie italiane vive in condizioni di povertà assoluta, per un totale di oltre 4 milioni di persone. Tra i Paesi dell’Ue, l’Italia conta la percentuale più elevata di abitanti che vivono in condizioni di sovraffollamento: 31,3%, seguita a distanza dalla Francia, 11,5% e dalla Gran Bretagna, 11,1%. Inoltre è tra i paesi Ue più deboli in quanto a offerta di lavoro: solo lo 0,7% rispetto al 2,9% della Germania e al 2,7% della Gran Bretagna. Nel 2014, infine, sono emigrati 90.000 italiani, il 50% in più rispetto al 2013, in gran parte diplomati e laureati. Lasciano l’Italia pure i pensionati, un fenomeno anche questo in aumento. Quelli residenti all’estero sono ormai quasi mezzo milione.