Abusi di cooperative. Torni la Sanità come servizio
La notizia di un blitz dei carabinieri la settimana scorsa, in quasi duemila strutture sanitarie private e pubbliche, anche se è passata in sordina, dovrebbe far riflettere. Molti infermieri non sono qualificati, molti medici lavorano pagati a ore. Il paziente ne fa le spese. Si appalta troppo alle cooperative, si dimentica che il paziente è al centro.
La notizia di un blitz dei carabinieri la settimana scorsa, in quasi duemila strutture sanitarie private e pubbliche, è passata decisamente in sordina. Un tempo sarebbero fioccati i titoloni sulla piaga della malasanità nel nostro Paese, ma quasi due anni di narrazioni ufficiali al riguardo dell’eroicità dei Sanitari nella guerra contro il Covid ha assopito l’attenzione e la sensibilità nei confronti di tali questioni. Al più, il cattivo medico è il medico non-vaccinato da sospendere e da cui guardarsi.
Il quadro che è emerso dal blitz dell’Arma è invece piuttosto preoccupante. I controlli sono stati fatti su 1.934 strutture sanitarie, con il monitoraggio di 637 imprese/cooperative private e la verifica di oltre 11.600 figure tra medici (13%), infermieri (25%) e altre professioni sanitarie (62%). I carabinieri del Nas hanno riscontrato irregolarità in 165 posizioni lavorative durante i controlli effettuati da metà novembre in ospedali e Rsa di tutta Italia. Strutture che, spiegano i militari, "ricorrono sempre più spesso a contratti di appalto per avvalersi di professionalità sanitarie – medici, infermieri ed operatori sanitari – forniti da società esterne, solitamente riconducibili a cooperative". In particolare, sono stati deferiti 8 titolari di cooperative per l'ipotesi di reato di frode ed inadempimento nelle pubbliche forniture ritenuti responsabili di aver inviato personale in attività di assistenza ausiliaria presso ospedali pubblici, in numero inferiore rispetto a quello previsto dalle condizioni contrattuali con l'Azienda sanitaria, o impiegato semplice personale ausiliario, privo del prescritto titolo abilitativo, anziché figure professionali socio-sanitarie, e, infine, personale medico non specializzato per l'incarico da ricoprire. Sono emersi inoltre molteplici casi di esercizio abusivo della professione (43 operatori) in particolare riguardanti lo svolgimento di attività infermieristiche in assenza di iscrizione all’albo e senza il riconoscimento dei titoli acquisiti all’estero, frequentemente favorite dalla mancanza di verifica preliminare da parte dei responsabili delle cooperative.
Tra le numerose irregolarità accertate, c'è la fornitura da parte di cooperative di medici con età anagrafica superiore ai 70 anni stabiliti da contratto, nonché l’utilizzo di personale sanitario non adeguatamente formato alle esigenze del settore, come medici generici assegnati a reparti di ostetricia e ginecologia, e incapaci quindi di effettuare parti cesarei. Nel corso dell’attività ispettiva è stato accertato il frequente utilizzo di personale infermieristico non in possesso dei necessari titoli abilitanti la professione sanitaria sul territorio nazionale. Infermieri non infermieri, persino ausiliari non qualificati. E infine i medici, anch’essi prestatori d’opera, anzi, di ora, pagati a gettone, utilizzati da cooperative,che spesso gestiscono in appalto – o in subappalto – reparti di ospedali pubblici. È emerso che ci sono circa 15mila medici a gettone che erogano 18 milioni di prestazioni l’anno, secondo una recente indagine svolta da Simeu, la società scientifica della medicina di emergenza e urgenza, uno dei settori più a corto di professionisti. Il personale manca e sempre più camici bianchi decidono infatti di lavorare “in affitto”, dove si arriva a guadagnare anche tre, quattro volte tanto che da dipendenti. E così le fila dei “gettonisti” si ingrossano. Considerando che i medici con rapporto di dipendenza sono 112mila, ciò significa che oltre il 10% è in affitto, e ciò a detrimento per la sicurezza dei pazienti. Altro che medici non vaccinati. Il ruolo delle cooperative in ambito sanitario potrebbero sfociare nell’illegalità, là dove si configurerebbe il reato di “intermediazione di mano d’opera”.
Tutto questo deve far riflettere. L’epidemia e l’uso politico del sistema sanitario hanno rivelato una realtà preoccupante, ma che forse è solo la punta di un iceberg. Per cambiare, per dare ai cittadini dei servizi sanitari efficaci, ma anche dal volto umano e onesto, occorrerebbe una netta inversione di marcia rispetto alla strada puramente economicistica presa da anni. Se la sanità pubblica è rappresentata da “aziende”, non è strano che al loro fianco ci siano delle “cooperative”. Che rispondono in primo luogo a criteri economici, di bilancio e di profitto. Bisogna tornare decisamente ad una Sanità intesa come Servizio, come bene pubblico per tutte le persone, condotta con cura e professionalità.