PRINCÌPI NON NEGOZIABILI
Aborto, ci vuole una battaglia culturale
La gravidanza, la vacuità del solito Corrado Augias e l'urgenza di una campagna culturale contro l'aborto. Appuntamento il 3 dicembre a Milano.
Editoriali
28_11_2011
La contrarietà della Chiesa all’aborto – così come al divorzio e alla fecondazione assistita – è un problema confessionale che non può essere imposto a chi credente non è. Così argomenta Corrado Augias, rispondendo a un lettore nella sua solita rubrica su “La Repubblica”, il 25 novembre. Al proposito Augias parla di “leggi che riposano su un dogma di fede e quindi escludono o confliggono con la coscienza di chi a quella fede non appartiene”.
Dunque la contrarietà all’aborto si baserebbe su un dogma di fede, sarebbe una convinzione ideologica specifica dei cattolici che poi vorrebbero imporla a tutti per legge. Si potrebbe facilmente far notare ad Augias che in prima fila nel denunciare l’orrore di un crimine come l’aborto ci sono fior di laici, come nel caso di Giuliano Ferrara, che ne fanno una battaglia di civiltà. Perché?
La risposta è nelle parole di Isabella, la cui testimonianza di 19enne alla prese con una gravidanza non voluta riportiamo in Primo Piano: “Eppure l’idea di abortire mi spaventava molto molto di più, il pensare dei gelidi strumenti infilarsi dentro di me e fare a pezzi un corpicino, no, non avrei potuto reggerlo. Avevo visto su internet alcune foto terrificanti di feti abortiti nelle primissime settimane… piccole miniature di una persona fatta a pezzi, non potevo. Dentro di me c’era una vita concepita per sbaglio, certamente non voluta, ma non avrei risolto il problema in quel modo, non avrei rimediato all’errore con un altro più grande e irreparabile”.
Il problema allora non sono i dogmi di fede, ma la realtà. La semplice realtà. L’aborto è l’eliminazione di un essere umano – il più debole e vulnerabile degli esseri umani - con procedure agghiaccianti: viene semplicemente fatto a pezzi un bambino. E ce lo dice non il catechismo della Chiesa, ma l’esperienza drammatica di una donna alle prese con una gravidanza indesiderata. Un fatto che dovrebbe ripugnare a qualsiasi laico degno di questo nome, che dovrebbe costringere a interrogarsi su che società può essere quella in cui l’eliminazione dell’essere umano più debole è garantita dalla legge e favorita dalla cultura. Invece Augias – e tanti come lui – è abile nel coprire la realtà, nascondendola dietro grossi paroloni e concetti banalmente astratti.
Del resto il problema non riguarda solo i laici. Da una recente inchiesta del sociologo Franco Garelli (Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo - il Mulino, Bologna 2011) emerge che oltre il 70% dei cattolici in Italia è favorevole all’aborto, almeno in certi casi; cosa che dovrebbe tra l’altro anche farci chiedere cosa ha fatto la Chiesa in questi anni per arrivare a questo disastro educativo. Fatto sta che la realtà è oggi estranea anche a gran parte di coloro che si definiscono cattolici, una vera tragedia che mina alle radici la possibilità stessa di credere: “La realtà invece è Cristo”, diceva San Paolo.
E’ per questo che diventa urgente lanciare una battaglia culturale contro l’aborto: per risvegliare a una realtà che vede ogni anno 50 milioni di feti fatti a pezzi, una vera e propria emergenza umanitaria che non ha eguali, una violenza inaudita e continuata che erode le fondamenta della nostra società occidentale.
Noi de La Bussola Quotidiana lanceremo la nostra battaglia sabato 3 dicembre a Milano (Circolo della Stampa, corso Venezia 48, ore 16) in occasione della celebrazione del primo anno di vita del quotidiano online, unendoci ad altri che su questo tema si sono già dimostrati particolarmente sensibili: il già citato Giuliano Ferrara, il direttore di Tempi Luigi Amicone, per non parlare della fondatrice e presidente del Centro di Aiuto alla Vita della clinica Mangiagalli a Milano, Paola Bonzi. Ovviamente, ad unirvi siete invitati tutti.