GIUSSANI SU IMPEGNO E FATICA
«Abbandonare la lotta? Tentazione da respingere»
Così il fondatore di Cl: «Nel 1976 si viveva in uno stato di mobilitazione continua, dissi che eravamo tentati di abbandonare la lotta o ripiegando su una riduzione pietistica o una riduzione culturale dell’esperienza di fede. Ma è una tentazione che dobbiamo respingere perché la lotta è soltanto all’inizio».
Ecclesia
28_08_2016
Caro direttore,
avendo più tempo a disposizione, durante questo periodo di vacanza ho riletto alcuni libri del servo di Dio don Luigi Giussani. Sono rimasto, come sempre, sorpreso dalla attualità del suo pensiero. Particolare gusto ho provato nel rileggere il suo libro intitolato “Il movimento di Comunione e Liberazione- 1954-1986”, consistente in una conversazione con il giornalista Robi Ronza (BUR Rizzoli,2014).
Nella prefazione al testo del libro, don Carron scrive che “riandare alla storia è sempre utile per chi non voglia rimanere in balia delle circostanze, prigioniero di una presenza senza radici” e che “la fedeltà all’inizio è decisiva se non si vuole smarrire la strada”. Ed allora, vorrei “riandare alla storia”, rimeditando le parole stesse di don Giussani.
A questo proposito, riprendo una risposta che don Giussani diede a Robi Ronza, che, riferendosi al periodo 1975-1986, gli chiedeva: “quali altri influssi, nel bene e nel male, hanno avuto sulla vita di CL questi anni di intensa esposizione, se non di sovra-esposizione politica ed elettorale?”.
Don Giussani disse: “Per rispondere a questa domanda devo riandare all’assemblea nazionale dei responsabili del CLU, che ebbe luogo a Riccione nel 1976, dopo che ormai da tre anni si viveva in uno stato di mobilitazione continua. Ricordo che in quella circostanza, prendendo atto di una nostra generale e peraltro giustificata stanchezza, dissi che eravamo perciò esposti alla tentazione di abbandonare la lotta, e che questo sarebbe potuto accadere nella forma o di una riduzione pietistica o di una riduzione culturale e intellettuale dell’esperienza di fede. E’ una tentazione - aggiunsi - che dobbiamo respingere perché la lotta in cui ci siamo impegnati è soltanto all’inizio, e non consente riposo.
Se poi siamo stanchi questo accade soprattutto perché tendiamo a rinnovare le nostre energie attingendo ad un livello superficiale, e non ancora al livello profondo delle radici. Fu così che la vicenda durissima di quegli anni, benché polarizzata da priorità che non sono normalmente quelle tipiche di un movimento ecclesiale, finì paradossalmente per provocare un’ulteriore e sostanziale presa di coscienza della natura originale di CL in quanto luogo di esperienza cristiana, di vita vissuta nella comunione, e dunque nella presenza di Cristo”. Era il 1986, quando il don Gius diceva queste cose. Mi hanno colpito molti aspetti di queste parole ed, in particolare, due.
1)Don Giussani considerava addirittura una tentazione quella di abbandonare la “lotta”, a conferma di un carisma basato su di un temperamento battagliero ed insieme pieno di carità e di misericordia. Un temperamento che gli faceva individuare ed affrontare gli ostacoli che, nel mondo moderno, impediscono o comunque rendono molto difficile e problematico annunciare la novità di Cristo, come risposta adeguata alle esigenze del tempo presente.
2)Don Giussani ci insegna che anche in una “vicenda durissima”, in quanto vissuta in comunione e quindi alla presenza di Cristo, cresce una consapevolezza ed una più forte coscienza cristiana. Del resto, il metodo educativo di don Giussani ci ha sempre insegnato che è attraverso l’impegno con ogni realtà ed in ogni ambiente che, alla fine, vediamo il volto di Cristo. L’impegno e la testimonianza sono la pacifica lotta con cui il cristiano è presente nel mondo, con un giudizio ed una esperienza di verità.