A uccidere sono le ideologie, non le armi
Uno dei pallini di questo pontificato, com’è noto, è quello delle armi. Ma come ammetteva Umberto Eco l’eccesso di predicazione pacifista snerva, devirilizza, rende inermi “dentro”. Perché il cristiano è pacifico, non pacifista e sa che a uccidere più che le armi sono le ideologie.
Uno dei pallini di questo pontificato, com’è noto, è quello delle armi. Nel senso di, riassumendo e strizzando, «ci sono le guerre perché ci sono i venditori di armi». Naturalmente, tali venditori, cattivi per definizione, sono tutti occidentali, perché, per esempio, Cina, Israele, India, Pakistan (potenze nucleari) non sono particolarmente inclini, per religione o ideologia, a dar retta al papa.
Voi direte, al solito: è colpa di Francesco e della sua teologia della liberazione. Dimenticando che anche il papa precedente non si sottrasse alla simbolica pacifista: in almeno un episodio, in una chiesa romana i bambini furono invitati a deporre ai suoi piedi fucilini, pistoline, carrarmatini e quant’altro, ricevendone in cambio giochi «di pace». Viene in mente, per i più anziani, quel famoso Diario minimo con cui Umberto Eco fece scalpore tra i «compagni» impegnati in quegli anni col Tribunale Russell e il disarmo unilaterale il cui slogan era «meglio rossi che morti».
Eco se ne uscì con la «Lettera a mio figlio», contenuta in quel libro, che così spiazzava: «E allora, Stefano... Allora ti regalerò fucili. A due canne. A ripetizione. Mitra. Cannoni. Bazooka. Sciabole. Eserciti di soldatini in assetto di guerra». Naturalmente, il «contrordine compagni» era a senso unico. Ecco qualche scampolo: «…ti insegnerò, certo, che Fantomas era cattivo, ma non verrò a raccontarti, complice della corruttrice baronessa Orczy, che la Primula Rossa era un eroe. Era uno sporco vandeano che dava noie al buon Danton e al purissimo Robespierre, e se giocheremo tu prenderai parte alla presa della Bastiglia», o «Fra Diavolo, grassatore se mai ve ne furono al soldo degli agrari e dei Borboni».
Eco ricordava, anche, all’anonimo interlocutore: «E lei, lei che è antifascista si può dire dalla nascita, ha mai giocato con suo figlio ai partigiani? Si è mai acquattato dietro il letto fingendo di essere nelle Langhe e gridando attenzione, da destra arriva la Brigata Nera, rastrellamento, rastrellamento, si spara, fuoco sui nazi?!». Il fatto è che, a furia di pacifismo, qualcuno poteva scordarsi che si trattava di pura ideologia, e strumentale.
Naturalmente, quando i rivoluzionari dismettono un vecchio arnese ideologico, ecco che i preti (sempre in ritardo di almeno un paio di rivoluzioni, come ha detto qualcuno) se ne impadroniscono e ne fanno un feticcio. Il direttore Cascioli ha più volte ricordato che non c’è bisogno dei «venditori di armi» per fare stragi. O addirittura genocidi: quello del Rwanda, quasi un milione di morti negli anni Novanta, si svolse a colpi di machete e coltello. Dunque, non c’è bisogno degli F35 per creare ecatombi. C’entrarono i «venditori di armi» negli altri due grandi genocidi del Novecento, quello armeno e quello ebraico?
No, solo l’ideologia. Sono le idee che uccidono, anche quelle tribali. Umberto Eco, cui non faceva difetto certo l’acume, avvertiva che l’eccesso di predicazione pacifista snerva, devirilizza, rende inermi “dentro”, così che l’avversario ha già vinto senza dover combattere. Il suo ragionamento era orientato, sì, ma è un insegnamento che vale sempre e per tutti. E, si noti, si rivolgeva a suo figlio, un bambino. Non a caso, quando sorse l’astro del gender, tacque. Non cambiò idea, si limitò a star zitto, avendo già dato.
Venendo ai cattolici, essi sono pacifici, e non pacifisti. «Si vis pacem para bellum», dicevano gli antichi romani. E la Chiesa cattolica è non a caso Romana. Anche se ha dimenticato la sua «lingua sacra» (caso unico tra le grandi religioni monoteiste), quel latino che ormai si è costretti a tradurre: «Se vuoi la pace preparati alla guerra».