Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
GRECIA

A sinistra di Tsipras, fantasie d'opposizione

Grecia, gli scismatici di Syriza, che non hanno accettato il compromesso di Alexis Tsipras con la Ue, propongono un programma di lotta dura all'austerity: rifiuto dei crediti internazionali e ripudio del debito. Due slogan che piacciono alla sinistra greca (e non solo), ma che condannerebbero il paese alla miseria.

Esteri 23_08_2015
Panagiotis Lafazanis, leader di Iskra

Non sappiamo ancora come andrà a finire ma, per come stanno andando le cose, Alexis Tsipras rischia di fare la fine che in Italia ha fatto Gianfranco Fini. Ovvero quella di un leader a tratti promettente che, a un certo punto, perde il contatto col proprio elettorato e finisce per chiudersi in uno spazio politico asettico, fino a non piacere più a nessuno. Nello specifico Tsipras rischia di diventare troppo di destra per il suo elettorato di sinistra, ma troppo di sinistra per l’elettorato moderato.

Come ciò stia avvenendo si può riassumere in poche righe. Tutto è cominciato nel luglio scorso quando Alexis, dopo aver sottoposto a referendum il memorandum della Troika, ha fatto una clamorosa marcia indietro firmandone – appena qualche giorno dopo  – uno ancora più duro. Una scelta che ha allontanato da lui una ventina deputati che, dopo aver votato contro ai piani di salvataggio, l’altro ieri hanno deciso di fondare un proprio partito, Unità Popolare: 25 ex Syriza capitanati dall’ex ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis. Una scelta che ha spinto Tsipras ad annunciare le dimissioni e convocare l’ufficio di presidenza di Syriza per concordare una strategia elettorale che si opponga a quella dei nuovi avversari. Studiarla sarà un lavoraccio per i consulenti politici visto che, nella sua campagna anti-austerity, Unità Popolare non fa che dire quel che Tsipras sosteneva fino a poco più di un mese fa.

Sul loro quotidiano di riferimento, Iskra (“la scintilla”, dal nome del quotidiano clandestino diffuso in Russia dal 1900, su cui scriveva Lenin), Lafazanis e soci hanno posto al centro del proprio programma elettorale due parole d’ordine: rifiutare il bailout e ripudiare il debito. Parole che, alle orecchie del 62% dei greci che hanno votato “no” al referendum, suonano come musica. Peccato che, all’atto pratico, siano potenzialmente disastrose per il futuro della Grecia.

Possiamo solo immaginare cosa vorrebbe dire, per un Paese con le casse in rosso, rinunciare a un pacchetto da 86 miliardi di prestiti (già perché, non tutti lo ricorderanno, nei mesi scorsi la crisi greca si è scoppiata di nuovo proprio perché Atene non era in grado di rimborsare i prestiti del Fondo monetario internazionale e della Bce). Significherebbe, in breve tempo, il default ovvero l’impossibilità per lo Stato greco di pagare stipendi pubblici e pensioni: poco male, si potrebbe ironizzare, per un Paese che fino a pochi anni fa per essi spendeva a dir poco tantissimo, fra sprechi e privilegi. In realtà il default non farebbe altro che far precipitare la Grecia ancor più nel caos: chiuderebbero tutti gli uffici pubblici, così come probabilmente le banche, con difficoltà a prelevare ancor più forti di quelle del luglio scorso. Senza contare il rischio che, senza le forze dell’ordine a vigilare, la criminalità possa prendere il sopravvento in un Paese già impoverito.

Un po’ più complesso è capire cosa potrebbe succedere nel caso in cui la Grecia ripudiasse il suo debito. La prima cosa che si può supporre è che nessun investitore sarebbe più disposto a prestarle soldi: priva di denaro sarebbe costretta a uscire dall’euro e iniziare a stampare una valuta propria (tornando probabilmente alla dracma). Con il rischio che la nuova moneta si svaluti rapidamente e aumenti il tasso d’inflazione: un aumento generalizzato dei prezzi che non colpirebbe solo lo Stato ma anche le famiglie con risparmi da parte. Quelle famiglie che magari, dopo aver perso un lavoro, vivono con i risparmi accantonati in una vita intera.

Lo scenario non è per fortuna realistico perché le forze anti-euro contano, allo stato attuale, appena 70 deputati su 300. Non solo, i quattro partiti anti-euro vanno tutt’altro che d’amore e d’accordo: se i ribelli di Syriza potranno andare d’accordo con i comunisti del Kke (l’origine è comune), i due partiti non potranno mai allearsi con i nazionalisti di Anel né tantomeno con Alba Dorata. Però, se come pare ci saranno a breve nuove elezioni, i partiti anti-euro e anti-austerity potrebbero rafforzarsi dando filo da torcere a chi sostiene gli accordi con l’Europa. Il paradosso è che ormai i moderati greci dovrebbero stare dalla parte di Tsipras e di Syriza. Ovvero, colui che tanto li spaventava fino a pochi mesi fa.