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OMOSESSUALISMO

A Reggio anche i gay tengono famiglia

Un uruguayano "sposato"
con un italiano in Spagna ottiene
il ricongiungimento per motivi familiari
e quindi il permesso di soggiorno.

Attualità 28_03_2012
Permesso di soggiorno


È la breccia che serviva alle lobby gay per cantare vittoria. Dopo la sentenza favorevole sul procedimento della coppia “omo” che chiedeva il ricongiungimento familiare, puntuale è arrivata la tanto sospirata carta di soggiorno.

La vicenda è nota ai lettori del La Bussola Quotidiana fin dai suoi esordi, quando partì l’offensiva dell’associazione radicale Certi diritti, affiliata all’Ilga, la potente lobby gay and lesbian friendly, che orienta molte decisioni nell’Ue.
L'altroieri la Questura di Reggio Emilia, che in un primo momento aveva negato il ricongiungimento familiare, scatenando così il ricorso dei due gay "sposati" in Spagna, che chiedevano il riconoscimento della loro unione anche in Italia, ha dovuto cedere.
Il permesso di soggiorno è comune a tanti altri. Comune alle migliaia di carte che vengono concesse nel nostro Paese per favorire il ricongiungimento di due coniugi extracomunitari, spesso il marito che è venuto in Italia a cercare fortuna, lasciando a casa la moglie e i figli.

Ma è il primo nel suo genere perché certifica che “Rafael”, questo il secondo nome del sudamericano, è giunto in italia per motivi familiari in quanto sposato regolarmente in un Paese Ue (la Spagna) con un altro uomo e dunque detentore degli stessi diritti che aveva in terra iberica.
Sulla homepage del sito ieri la foto del permesso di soggiorno compariva a caratteri cubitali e aveva il sapore trionfale della battaglia vinta in una guerra ancora lunga, ma ormai orientata su un piano inclinato segnato: quello del riconoscimento parlamentare delle unioni gay.

Certo è che guardando la carta che l’associazione ieri ha definito “storica” stride quello stato civile “celibe” a fronte di un motivo del soggiorno “per motivi familiare”. E’ questa forse la chiave per comprendere in quale pasticcio si è cacciata la giurisprudenza italiana, creando un mostro a due teste, dal momento che se da un lato si evita, e la sentenza lo dice a chiare lettere, di riconoscere il matrimonio gay perché assente una legge del parlamento sovrano, dall’altro si riconosce lo status giuridico di famiglia a cittadini che in altri Paesi dell’area Ue conservano questo diritto.

Eravamo stati facili profeti nel delineare uno scenario che si sviluppa, forse non casualmente, in un momento di vacanza della politica in crisi di identità e di consenso e succube di altri poteri. In pratica: allo sbando in quanto al rispetto del valori non negoziabili.
Eppure la strategia delle lobby era chiara: Il trattato di Nizza sulla libera circolazione e il Trattato di Lisbona sulla lotta alle discriminazioni sono stati utilizzati come grimaldello per scardinare il sistema.
Con il primo infatti si sancisce che tutti i cittadini devono conservare gli stessi diritti all’interno di tutti gli stati membri Ue, con il secondo si decreta che i cittadini Ue non devono essere discriminati da uno stato all’altro.

Così, pur non richiedendo la trascrizione del matrimonio, materia di competenza di ogni singolo stato, si è optato per il più semplice permesso di soggiorno.
«Un altro grande passo di civilità per il superamento delle diseguaglianze e delle discriminazioni», canta vittoria Certi diritti. Un fallimento della politica, che si è vista superare su questa materia da un giudice in una sentenza che ora farà scuola.

La battaglia delle lobby non si fermerà qui. I due non sono riconosciuti marito e marito, ma sono riconosciuti come famiglia. Ora, secondo precise strategie annunciate nero su bianco, l’associazione si farà forza della sentenza e del suo clamore mediatico per «sollecitare il Parlamento a varare una disciplina di carattere generale in materia».
In secondo luogo chiederà di «intervenire per garantire un trattamento omogeneo tra le coppie coniugate e quelle omosessuali». E qui ci dovremo aspettare, secondo la tecnica di guerriglia ormai consolidata per il caso Eluana, a casi limite, che impietosiscano le copertine dei media più sensibili.

Quella della riforma del diritto di famiglia è infatti è la prossima battaglia dell’associazione radicale, che ha anche elaborato una proposta di riforma depositata sia alla Camera che al Senato e che si ispira al concetto di amore civile.
Nel progetto di riforma, codificato dal progetto di legge n. 3607 depositato dai parlamentari Pd di area radicale si prevede oltre al tema del riconoscimento delle unioni civili, la separazione, la mediazione familiare, il divorzio breve, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, le norme sulla procreazione e sulla genitorialità responsabile e norme in materia di filiazione legittima e naturale.

Una spia è già accesa: il via libera dato dalla commissione Giustizia della Camera sul divorzio breve, il cui primo firmatario è l’onorevole Pdl Maurizio Paniz, dimostra che in quanto a ricerca trasversale del consenso, i Radicali non si fanno battere da nessuno.