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Il caso

A processo il vescovo di Ozieri, giudici a gamba tesa sull’8 per mille

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Mons. Corrado Melis è tra i nove rinviati a giudizio dal Gup di Sassari, insieme a don Mario Curzu e Antonino Becciu, fratello dell’ex sostituto della Segreteria di Stato. Al centro delle accuse di peculato e riciclaggio è la gestione dei fondi dell’8 per mille. Un processo che appare un vulnus al Concordato.

Attualità 07_02_2025
Mons. Corrado Melis, vescovo di Ozieri

Alla fine, il 3 febbraio scorso, il giudice per l’udienza preliminare (Gup) del tribunale di Sassari ha accolto le richieste del sostituto procuratore, mandando a processo il vescovo di Ozieri, monsignor Corrado Melis, il direttore della Caritas locale, don Mario Curzu, Antonino Becciu (fratello del cardinale Angelo) e altre sei persone. L'inchiesta sarda è "sorella" di quella vaticana che si è conclusa a dicembre 2023 con la condanna in primo grado a cinque anni e sei mesi di reclusione, più interdizione perpetua dai pubblici uffici e ottomila euro di multa per l'ex Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, cardinale Angelo Becciu.

Nel caso Becciu la vicenda del palazzo di Londra ha preso il sopravvento mediatico, ma in realtà molti dimenticano che nella drammatica udienza del 24 settembre 2020, che fece cadere in disgrazia il porporato, papa Francesco non gli parlò di Sloane Avenue ma rimproverò i soldi destinati, tramite la Caritas di Ozieri, alla Cooperativa Spes legata al fratello Antonino e provenienti dalle casse della Segreteria di Stato e da quelle della Conferenza episcopale italiana (Cei). Nel primo caso si trattava di due erogazioni – una da 25 mila euro nel 2015 e l'altra da 100 mila euro nel 2018 – costate all'ex Sostituto la condanna vaticana per peculato, nonostante sia stato riconosciuto essere «di per sé lecito lo scopo finale delle somme», ovvero l'acquisto di un macchinario per la produzione del pane nell'ambito di un progetto sociale della cooperativa (i 25 mila euro) e il sostegno ad altre attività caritative (nemmeno concretizzatosi perché i 100 mila euro sono alla fine rimasti sul conto della diocesi).

Nel secondo caso, invece, Francesco contestò al suo ex braccio destro i 300 mila euro, seguiti da un rinnovo di pari importo, erogati dalla Cei alla Spes. Soldi che, come si è potuto appurare nel processo vaticano, vennero richiesti dall'allora amministratore apostolico di Ozieri, monsignor Sebastiano Sanguinetti, per poter sostenere le spese prima di ammodernamento e poi di ricostruzione di un panificio andato distrutto dopo un incendio.

Sono proprio i fondi della Cei provenienti dall'8 per mille ad essere costati il rinvio a giudizio per peculato e riciclaggio a monsignor Melis, don Curzu e Antonino Becciu. Ma nel mirino dell'accusa è finita la gestione di due milioni di euro che nel giro di dieci anni sono arrivati nella diocesi di Ozieri attraverso l'8 per mille.

Quello che si aprirà il 9 aprile sarà un processo importante perché vede un vescovo imputato per peculato nell'ambito della gestione di somme effettivamente destinate a interventi caritativi, così come richiede l’articolo 48 della legge 20 maggio 1985 n. 222 nata a seguito dell'Accordo di revisione del Concordato. Lo stesso articolo 47 parla di «diretta gestione della Chiesa cattolica». Laddove da parte di monsignor Melis ci fosse stata una condotta illecita, la Cei avrebbe potuto costituirsi parte civile. Cosa che non è avvenuta, anche perché alla Conferenza episcopale arrivavano le rendicontazioni sulle spese sostenute dalla Caritas diocesana nei progetti sociali, comprese quelle della Spes. Le attività di reinserimento sociale per ex detenuti, migranti, tossicodipendenti e altre categorie svantaggiate promosse dalla cooperativa, in effetti, non avvenivano di nascosto ma venivano, anzi, pubblicizzate sui report annuali e nei comunicati della delegazione sarda della Caritas. Non solo non si sente "parte offesa", ma l'episcopato italiano non sottovaluta la portata di questo processo, rifiutando la tesi di fatto che vedrebbe i vescovi catalogati a pubblici ufficiali e le diocesi a pubbliche amministrazioni. Un parere largamente condiviso in Cei, pur nel rispetto dell'operato della magistratura italiana.

Indicativo è stato il comunicato emesso dai vescovi sardi che hanno espresso la loro vicinanza a Melis, ma hanno tenuto a rinnovare la loro fiducia agli organi inquirenti. Più diretto è stato il deputato di Forza Italia Pietro Pittalis,  vicepresidente della Commissione Giustizia a Montecitorio, per il quale la vicenda «pone un serio problema, che potrà riguardare in futuro tutte le diocesi, circa i limiti dell'Autorità giudiziaria italiana rispetto alla gestione dei fondi dell'8 per mille, il cui controllo, di esclusiva pertinenza della Cei, non compete a soggetti diversi da quelli preposti al governo degli affari della Chiesa Cattolica, nel rispetto dell'articolo 7 della Costituzione e del Concordato» perché «le diocesi non sono e non debbono operare come pubbliche amministrazioni, attraverso bandi pubblici, ma seguire l’ordinamento canonico che prevede regole diverse da quelle dello Stato Italiano». Pittalis conclude che «ritenere il contrario significherebbe snaturare la missione spirituale della Chiesa, specie per quanto riguarda le azioni di solidarietà e carità da sempre improntate – per il bene delle persone – al riserbo e alla discrezione. Per quanto mi riguarda, la questione costituirà oggetto di specifico approfondimento nelle sedi istituzionali proprie, al fine di evitare inutili conflitti sulla giurisdizione tra Stato italiano e la Santa Sede». Parole che sembrano cogliere il punto dirimente della questione.

In una relazione del 2015 sull'argomento, la Corte dei Conti ha detto che il «controllo pubblico sulla destinazione dell’8 per mille» deve appurare la «coerenza» fra «l’utilizzo delle risorse stesse e le finalità previste dalla legge», ma ha anche precisato che «non comporta – ovviamente – alcun sindacato di merito sulle scelte discrezionali delle confessioni religiose circa l’impiego delle risorse da esse percepite».

Il carattere caritatevole degli interventi sovvenzionati nella diocesi di Ozieri è emerso nel dibattimento del processo vaticano, tant'è che il giudice ha riscontrato il peculato nei confronti del cardinal Becciu per le erogazioni dalla Segreteria di Stato alla cooperativa del fratello non perché i soldi fossero stati «impiegati per fini diversi da quelli caritativi o siano stati indebitamente intascati da qualcuno», ma solo in virtù della parentela con l'amministratore alla luce di un articolo del codice penale vaticano. Per quelli provenienti dall'8 per mille e quindi non certo decisi dall'allora Sostituto, sempre soggetti a rendicontazione alla Cei che evidentemente non vi ha riscontrato incoerenze, cosa si potrà contestare? Il 9 aprile, a Sassari, la prima udienza.



considerazioni sul caso becciu

La procura non può mettere il naso nella gestione dell'8 per mille

10_01_2025 Nico Spuntoni

L'inchiesta a carico del fratello di Becciu e del vescovo di Ozieri per i fondi alla coop Spes tira in ballo una questione fondamentale: può una procura contestare l'uso indebito dei soldi dell'8 per mille? Secondo gli esperti no. Ecco perché.