A distanza di duemila anni
È più facile o più difficile di allora credere all’incarnazione e alla nascita di Gesù? Probabilmente è più facile, perché la storia della Chiesa ha dato ampia conferma a quegli eventi. L'importante è non darli per scontati, per non smettere di scorgere le meraviglie di Dio.
Talvolta mi domando se, a distanza di duemila anni dagli avvenimenti che stiamo ricordando e festeggiando in questi giorni – l’incarnazione e la nascita di Gesù – sia per noi più facile o più difficile di allora credere ad essi. E, considerando tutti i pro e i contro, alla fine mi rispondo che probabilmente è più facile. Perché?
Io credo che il motivo principale sia dato dal fatto che duemila anni di storia cristiana, pur con le loro inevitabili ombre, spesso ingigantite da numerose “leggende nere”, in realtà hanno dato ampia conferma a quegli eventi. Il messaggio evangelico (e la Chiesa che si è sempre sforzata, nonostante i limiti dei suoi uomini, di custodirlo e di diffonderlo), ha retto ai marosi dei secoli.
Anzi, secondo la promessa che Gesù stesso aveva fatto agli apostoli durante l’ultima cena, essa è riuscita ad approfondire tale messaggio sotto la guida dello Spirito, fornendo contorni sempre più comprensibili al mistero di Dio e al suo rapporto con l’uomo. Non solo, ma con la schiera innumerevole di santi e di sante scaturita nel corso dei secoli, ha dimostrato come questo messaggio funzioni davvero nella vita , suscitando innumerevoli carismi capaci - ognuno a modo suo - di evidenziare la ricchezza, la varietà, la profondità che può raggiungere il rapporto tra Dio e quell’umanità della quale ha voluto entrare a far parte, assumendone la carne.
Ma perché parlo di questo, ora, in una rubrica mariana? È presto detto: perché tutto ciò fa apparire ancora più grande ciò che allora è avvenuto, soprattutto le decisioni e il comportamento dei due personaggi principali di quegli eventi: Maria, anzitutto, ma anche Giuseppe.
Per capirlo davvero, credo che dovremmo cercare di metterci almeno un po’ nei loro panni. E non solo all’inizio della storia, dove i vangeli di Matteo e di Luca ci mostrano come alla straordinarietà delle richieste da parte di Dio si sia accompagnata una straordinarietà delle manifestazioni, che certamente ne hanno aiutato l’accettazione. Ma soprattutto dopo e forse, mi viene da pensare, proprio nel primo decennio di vita di Gesù. Quegli anni dell’infanzia e della prima fanciullezza, nei quali egli andava crescendo poco a poco come un bambino normale che impara, sotto la guida dei genitori, a camminare, a parlare e poi a fare molte altre cose. Anni nel corso dei quali non appare, almeno dai Vangeli, che ci siano stati altri “messaggi speciali” dall’Alto.
Quali sentimenti avranno nutrito in cuore? Come avranno ripensato a ciò che era accaduto agli inizi? Un umanissimo e comprensibile travaglio, sul quale getta uno spiraglio di luce quell’episodio che coinvolge Gesù dodicenne che Maria e Giuseppe ritrovano con sorpresa, dopo tre giorni di ricerca, a discutere con i dottori nel tempio. Un Gesù che, alle loro rimostranze, risponde richiamandoli con decisione, se non con un’apparenza di durezza, alla sua missione:<<Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?>>. Certamente un brusco richiamo per Maria. Uno scossone, un passaggio, che non dimenticherà mai e sul quale mediterà a lungo, tanto che poi è certamente da lei che lo apprenderà l’evangelista Luca.
Un cammino di fede, dunque, quello di Maria – e di Giuseppe - del quale ci viene detto solo l’essenziale. Sufficiente, tuttavia, a farci capire che c’è stato un progresso continuo da parte loro nella presa di coscienza e nell’adesione al progetto di Dio. Tanto che a Cana di Galilea, nel corso di quelle famose nozze passate alla storia, avverrà il contrario di ciò che era avvenuto durante il ritrovamento nel Tempio. In questa occasione, infatti, sarà Maria – forse allora già sola - a sollecitare il Figlio, a spingerlo ad uscire allo scoperto e a rivelare a tutti quella missione che lei ormai aveva ben intuito. Anche se allora non sapeva ancora come sarebbe andata a finire. Cosa che invece noi ora sappiamo e della quale abbiamo potuto verificare la solidità.
Con un grave rischio tuttavia. Quello di accomodarci su quegli eventi, di darli per scontati, di non meravigliarcene più. Di aver perso quel dono dello stupore, senza il quale non è possibile né scorgere né aderire davvero, alle meraviglie di Dio. Quelle meraviglie straordinarie che ha compiuto allora, ma anche quelle che ogni giorno rinnova per noi.