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IL RITRATTO

A Dio Dom Forgeot, con lui il monachesimo ha ripreso vita

Il benedettino francese, abate emerito di Fontgombault, morto a 87 anni. Con lui un fiorire di comunità e monasteri. In lui la caratteristica più profonda della Tradizione della Chiesa: nei contenuti, nei gesti, nei riti umilmente e fedelmente osservati è Dio che passa; l’uomo “sparisce” per dare spazio a Lui e in questo venir meno è tutta la sua gioia e la sua realizzazione. La stima di Benedetto XVI e la condivisione con lui sia nell’ambito liturgico che nei confronti dell’interpretazione del Vaticano II.

Ecclesia 21_08_2020

Il 15 agosto scorso, solennità di Maria Santissima Assunta in Cielo, è morto dom Antoine Forgeot, abate emerito dell’Abbazia benedettina Notre-Dame de Fontgombault. Aveva ottantasette anni: un traguardo forse invidiabile, ma che impallidisce rispetto ai suoi 65 anni di vita monastica, compiuti il giorno stesso della sua morte, dei quali 43 vissuti come abate, in un periodo della storia della Chiesa particolarmente travagliato.

Divenuto abate nel 1977, aveva ricevuto l’eredità di Dom Jean Roy, morto improvvisamente ad appena 56 anni, e di dom Édouard Roux, primo abate di Fontgombault. Perché la rifondazione dell’abbazia è recente. Siamo nel 1948 quando 22 monaci provenienti da Solesmes decidono di installarsi a Fontgombault e già cinque anni dopo, nel 1953, il monastero ritrova il suo titolo abbaziale.

Quella di Fontgombault è una storia di fioritura, travaglio, morte e rinascita. Le sue origini risalgono all’ XI secolo, quando, nel 1091, il monaco Petrus a Stella vi fondò un monastero benedettino; quindi la straordinaria crescita nei due secoli successivi, che ha portato alla fondazione di circa venti priorati, dipendenti dall’Abbazia. Poi un progressivo e triste declino fino al 1741, quando la comunità, ridotta ormai a soli cinque monaci, lascia gli edifici ai Lazzaristi, che lo usano come seminario. Ma il peggio doveva ancora arrivare ed era alle porte: in nome degli ideali “libertari” della Rivoluzione Francese, il monastero viene parzialmente distrutto e quello che rimane, diventa proprietà dello Stato e venduto.

Nel 1849 i monaci Trappisti riescono a riscattare la parte del monastero sopravvissuto alla devastazione e alla decadenza e tornano a ristabilirvi la vita monastica; ma solamente per poco più di cinquant’anni, perché nel 1904 la rottura delle relazioni tra la Santa Sede e la Francia costringono all’esilio i monaci. Qualche anno più tardi, nel 1919, gli edifici saranno nuovamente destinati ad uso religioso, divenendo sede di un seminario interdiocesano, fino al 1948, quando l’edificio ritrova la sua vocazione monastica.

Il vero “miracolo” di Fontgombault è stato quello di crescere negli anni successivi al Concilio Vaticano II, quando la quasi totalità dei monasteri era in piena crisi d’identità e di vocazioni e travolta da uno tsunami di abbandoni. Nel 1971, durante l’Abbaziato di dom Roy, Fontgombault conosce già una prima fondazione vicino a Clermont-Ferrand, l’Abbazia Notre-Dame de Randol; ma è con dom Forgeot che la “sciamatura” si intensifica: nel 1984 l’Abbazia di Fontgombault rileva un castello del XVII secolo, a nord di Triors e vi invia quattordici monaci; oggi l’Abbazia di Notre- Dame de Triors ne conta già oltre quaranta.  Dieci anni dopo, Notre-Dame de Gaussan, comunità monastica che dal 2008 si è trasferita a Donezan, sui Pirenei e accoglie oggi una ventina di monaci. Nel 1999 le fondazioni di Fontgombault attraversano l’Oceano e arrivano nell’Oklahoma, Stati Uniti; tredici monaci fondano il priorato (poi Abbazia) di Our Lady of Clear Creek e sono già triplicati.

Tutto è grazia, ma certamente Dio ama associare alla sua azione di salvezza i suoi figli, soprattutto quando li trova miti e docili. E’ questo il segreto di dom Forgeot. Non si tratta solo di un tratto caratteriale: dom Forgeot è stato un uomo evangelicamente docile, ossia profondamente timorato (nel senso biblico del termine) e ricettivo della grande Tradizione della Chiesa e di quella monastica, in particolare dell’eredità di Dom Prosper Guéranger, il grande fondatore della Congregazione di Francia, di cui Solesmes è l’Abbazia madre.

Era tutt’altro che un formalista, dom Antoine: per lui la tradizione era vita, da cui attingere, a cui conformarsi, nella consapevolezza che questa attitudine verso la Tradizione della Chiesa non è una forma fissismo né di spersonalizzazione, ma ingresso nella vita di Dio e perciò vera liberazione dell’uomo. Questa tradizione viva lo avvolgeva pienamente soprattutto nella liturgia. Così testimonia Dom Jean Pateau, suo successore dal 2011: «Quando si vedeva il Padre Abate celebrare, si restava colpiti dalla sua grande fedeltà alle rubriche liturgiche, così come dalla sua interiorità, dal suo annullamento per divenire il più trasparente possibile al mistero. Era come una finestra aperta su Dio».

E’ probabilmente qui il segreto della sua fecondità, dell’attrazione che esercitava su tutti coloro che lo incontravano; anche il tratto dolce e umile altro non era che la sua disposizione essenziale a lasciar passare Dio. Dom Forgeot ci rivela la caratteristica più profonda – e forse inaspettata – della Tradizione della Chiesa, accolta, custodita e trasmessa: nei contenuti, nei gesti, nei riti umilmente e fedelmente osservati è Dio che passa; l’uomo “sparisce” per dare spazio a Lui ed in questo venir meno, è tutta la sua gioia e la sua realizzazione. «Egli deve crescere, io, invece, diminuire» (Gv. 3, 30): le parole del Battista sono la sintesi degli uomini di Dio, che sono per questo uomini della Tradizione. Non si tratta di ostinazione, di attaccamento a dettagli, ma di consapevolezza del segreto della fecondità: liberarsi dai propri gusti, dalle proprie convinzione per entrare nel mondo di Dio.

Negli anni della riforma liturgica, egli ha cercato di coniugare concretamente la sacralità della liturgia con la prudenza ed un vero attaccamento alla Sede Apostolica. Dapprima, il suo predecessore, Dom Roy, aveva adottato per il monastero il messale “sperimentale” del 1965; quando nel 1974 il messale di Paolo VI è stato imposto a tutti, Dom Roy l’ha accettato, sebbene fosse ben consapevole dei limiti in esso presenti, mantenendo invece l’Ufficio Divino monastico. Don Forgeot accoglie questa eredità, cercando di dare alla celebrazione eucaristica secondo il cosiddetto Novus Ordo tutta la sua sacralità; fino al 1984, anno in cui ottiene di potere nuovamente utilizzare il Messale antico, sebbene non quotidianamente. Poi, cinque anni più tardi, riceve dalla Commissione Ecclesia Dei l’autorizzazione di poter utilizzare in modo abituale il Messale tridentino, adottando il nuovo calendario per il Santorale, così come qualche nuovo prefazio. Un cammino paziente, non sempre facile, fatto di preghiera e confidenza in Dio.

Dom Forgeot e Benedetto XVI si stimavano reciprocamente ed erano legati da una sincera amicizia e da una comunione di vedute, sia nell’ambito liturgico che nei confronti dell’interpretazione del Vaticano II. Dom Pateau testimonia che «dopo la sua elezione come Papa, ho avuto l’occasione di incontrarlo, in compagnia del Padre Abate Antoine. Ricordo molto bene che eravamo in ginocchio ai piedi del Santo Padre, il quale prese le mie mani tra le sue e mi disse: “Rimanete fedeli all’eredità del caro Padre Abate”».

Questa sua eredità non era “sua”: egli l’ha ricevuta e l’ha trasmessa, con fedeltà, intelligenza e carità pastorale. E’ per questo che Fontgombault non cessa di essere un monastero pieno di vita, un polmone capace di riossigenare la Chiesa, in questi tempi tanto difficili.