A caccia di Dio, nel bosco della vita
Prende spunto da una fortunta metafora del cardinal Biffi sulla "teologia della beccaccia" la nuova collana di Cantagalli A caccia di Dio, che si pone l'obiettivo di intercettare il bisogno di Assoluto dell’uomo contemporaneo. L'esordio con il libro del cistercense Padre Lepori Si vive solo per morire?
La beccaccia fa teologia, o meglio la caccia alla beccaccia sviluppa una teologia che, appunto, qualcuno ha definito “teologia della beccaccia”. Certo, è un gioco di parole, ma la premessa era necessaria per introdurre la nuova collana di libri che l'editore senese Cantagalli ha avviato con il singolare titolo «A caccia di Dio».
L'intuizione di questa nuova collana, infatti, parte dall'esperienza dello stesso editore, David Cantagalli, che racconta di come lui e il suo setter Brino, inerpicati nella campagna a cavallo tra senese e grossetano, hanno vissuto la “teologia della beccaccia”, secondo la definizione che ne diede il cardinale Giacomo Biffi al sentire i racconti del Cantagalli.
«La regina del bosco (così viene anche chiamato questo singolare volatile) spesso è invisibile», dice l'editore/cacciatore, «ma i “segni” lasciati fanno presumere ragionevolmente che essa fosse lì presente, in quella piccola fetta del creato. Presumere con certezza e ragionevolezza che la beccaccia fosse pochi istanti prima in quell’angolo del bosco, questa è la chiave di volta che ha aperto al mio cuore un mondo nuovo e tuttavia già esplorato per altre vie. Una realtà invisibile di cui percepisci la presenza con assoluta certezza. Sembra una contraddizione ma non lo è. D’altronde molte sono le cose invisibili che pure esistono e sono percepite dall’uomo».
Da questa esperienza nasce «A caccia di Dio», una collana che si pone l'obiettivo di intercettare il bisogno di Assoluto dell’uomo contemporaneo, far risuonare in lui la corda troppo spesso tacitata della sua ragione insoddisfatta, del suo cuore inquieto. Il primo cacciatore impegnato nella suprema battuta è padre Mauro Giuseppe Lepori, dal 2010 abate generale dell'Ordine Cistercense; il libro che ha dato alla stampe si intitola Si vive solo per morire?
«Viviamo in una cultura ingolfata nella contraddizione di temere la morte senza amare la vita», scrive padre Lepori, come per segnare un primo grande confine alla selva in cui ci vuole guidare. E come dargli torto, visto che, come scrive lui stesso, «questo timore della morte senza amore della vita è una contraddizione che penetra tutto e diventa cultura, modo di vivere e di pensare».
E' un cortocircuito perché per quanto si possa tentare di fuggire la morte, questa ti prende inesorabilmente. «Il desiderio di vita e di felicità, sbrigliato dal desiderio di Dio, diventato pura fuga senza direzione dalla morte e dalla tristezza incombenti, si ritrova a dover subire ancora la morte come destino». Tuttavia, tanto per tornare al tema venatorio, da qualche parte la beccaccia ci deve essere, altrimenti quel desiderio sarebbe pura illusione, virtuale realtà priva di senso.
Allora nel cuore bisogna avere il coraggio di lasciar sorgere una risposta, magari suggerita dalla sete di bellezza e di verità, di amore: «quello che ti manca sono Io!». E' la risposta di Dio che, finalmente, permette di non censurare più la morte perché la vince. Non un Dio lontano, è Dio che si fa carne, che nasce dal grembo di Maria, posto in una mangiatoia per darci il pane di vita. Ecco la vita, che diventa vita da vivere non più soli. Vita da amare.
La “teologia della beccaccia”, così come il cardinale Biffi se l'era sentita raccontare dal Cantagalli, trova qui il suo approdo. Compiendo a suo modo una via pulchritudinis. Andando per la campagna toscana l'editore/cacciatore ha fermato lo sguardo sui casali, i poderi, le chiesuole, le crete, ha guardato il suo Brino all'opera e, dice, mi sono reso conto che «la fede nasce da un incontro, da uno svelarsi di quella bellezza indecifrabile eppure sentita». Perchè, «il corpo di Brino teso verso l’invisibile, i suoi occhi luminosi che guardano fissi quello che apparentemente non esiste è quello che accade all’uomo che scopre la fede, che sente il divino, che rimane sorpreso da una meraviglia percepita e tuttavia ancora invisibile: sospeso in una dimensione fisica e metafisica che tuttavia è evidente».
Come diceva un vecchio adagio “le vie del Signore sono infinite”, l'importante è mettersi «a caccia di Dio».