A Bologna si combatte per la libertà di educazione
Per il 26 maggio è stato fissato un referendum consultivo che punta a togliere il contributo del Comune alle scuole paritarie dell'infanzia. Appoggiato da Sel, grillini, Idv e Cgil scuola, si tratta di una vera e propria offensiva anti-cattolica che, in nome dell'ideologia, è disposta a mandare in crisi l'intero sistema scolastico locale. Ma il rischio è che si crei una reazione a catena in tutta Italia.
L'appuntamento è fissato per il 26 maggio. E' in quella data che la città di Bologna conoscerà gli esiti di un referendum pilota che rischia di creare una reazione a catena in tutt'Italia: distruggere quel poco di buono che si è costruito faticosamente nei rapporti tra enti pubblici e scuole paritarie, soprattutto cattoliche.
L'offensiva laicista e anticattolica è sulla rampa di lancio, galvanizzata dall'ingresso nell'agone politico dei grillini che hanno rianimato i tanti partiti di centrosinistra da sempre avversi alla libertà di scelta e di educazione e che hanno sempre inteso in maniera ideologica il ruolo della scuola pubblica. Il referendum è indetto dal comitato “Articolo 33” per chiedere al Comune di non erogare più il contributo che concede alle scuole paritarie, quindi non solo cattoliche, per dirottarlo a favore delle scuole comunali.
La convenzione sul sistema integrato pubblico-privato è stata siglata 20 anni fa dall'allora assessore regionale Gianluca Borghi. E ha funzionato per quanto possibile, applicando un indispensabile principio di sussidiarietà, soprattutto da quando i comuni, vuoi per la spendig review, vuoi per i vincoli del patto di stablità, hanno accettato di buon grado che il privato è meglio aiutarlo, se non si vuole poi trovarsi sul groppone centinaia di bambini da scolarizzare.
Ma la campagna si preannuncia agguerrita e nella città felsinea ha avuto appoggi di peso. Nonostante la Costituzione favorisca il principio di sussidiarietà. Dal '94 infatti a Bologna, il Comune ha valorizzato questo sistema virtuoso per tutte le scuole paritarie private. Oggi sono 27, tutte convenzionate e se l'esito del referendum dovesse far prevalere i sì, molte di queste dovranno per forza chiudere i battenti. Sono soprattutto scuole dell'infanzia: 9 gestite da enti religiosi, 8 in capo a parrocchie, cinque a cooperative di genitori, tre rette da fondazioni e due da associazioni libere. “La maggioranza di queste ha ispirazione religiosa – spiega a La Nuova BQ Sauro Roli dell'esecutivo nazionale Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) che si batte assieme ad altre realtà del laicato cattolico per il no -. Ecco perché al fondo della questione quando discutiamo con i promotori notiamo una animosità anticattolica vecchia di 50 anni”.
Lo dimostra il fatto che recentemente i grillini hanno proposto alla Curia di Bologna di farsi carico dell'attuale quota del Comune, circa 1 milione all'anno, utilizzando una eredità. “Praticamente un esproprio proletario”, spiega Roli, che, numeri alla mano, difende la bontà del sistema pubblico-privato che tiene in vita, seppur a fatica, tante scuole libere. Il Comune infatti ogni anno eroga un contributo di circa 1 milione di euro, che corrisponde a circa 600 euro per bambino. Questo consente alle scuole paritarie di poter effettuare un minimo di differenziazione nelle rette attraverso il modello Isee. I fondi del Comune vanno a sostenere un'utenza complessiva di circa 1.735 bambini, mentre il Comune per le sue scuole materne deve spendere 6.900 euro a bimbo.
I promotori del referendum “Articolo 33” hanno volutamente sbagliato nei toni perchè il quesito, così come è posto è fuorviante. “Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole di infanzia paritaria a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all'istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell'infanzia?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali
b) utilizzarle per le scuole paritarie private”
“Ma è con la legge 62/2000 dell'allora ministro dell'Istruzione Berlinguer che ha istituito il sistema nazionale di istruzione, che la differenza è tra scuole statali e scuole paritarie perché anche le scuole comunali sono paritarie, e ricevono dal Comune gli stessi contributi delle paritarie private”, prosegue Roli.
A Bologna poi le scuole d'infanzia statali coprono appena il 18% dei bambini, mentre quelle comunali accolgono 5.137 bambini, pari al 61%. Le paritarie private con i loro 1.736 bambini sono pari al 21% dell'utenza. Dunque le scuole paritarie, pubbliche e private coprono la maggior parte della domanda.Togliere i contributi a queste ultime sarebbe una discriminazione.
Il referendum ha ricevuto l'appoggio non solo dei grillini, ma anche di Sel, Idv, Fiom, di molte associazioni di stampo laicista e anticlericale e anche della Cgil scuola, vera e propria corporazione, dalla quale ha preso le distanze anche il segretario Cgil di Bologna. A sorpresa, per il "no" dopo l'appoggio iniziale di Pdl, Lega e Udc, è arrivato anche il sostegno del Pd e ovviamente del sindaco di Bologna Merola, il quale ha già annunciato che andrà quartiere per quartiere a spiegare le ragioni del no, o meglio dell'opzione B. “B come bambino, B come Bologna”, come recita uno degli slogan dei comitati contro il referendum. I Democrat locali hanno dovuto vincere alcune resistenze al loro interno e hanno promesso comunque al Comitato del no che li risolveranno al loro interno.
Anche la Curia di Bologna è intervenuta a favore del quesito B mentre si attende un pronunciamento esplicito dell'arcivescovo Caffarra, dopo quello del suo vicario. Il comitato promotore rivendica la bontà della sua proposta dicendo che lo scorso anno ben 400 bambini sono rimasti fuori dalle scuole pubbliche per mancanza di risorse del Comune. Da questo, secondo loro, nasce la prima motivazione per la chiamata alle urne. “Ma è falso – prosegue Roli – anche perché se si elimina il milione si mette in crisi un'utenza di 1.700 bambini che poi il Comune si troverebbe sul groppone a gestire. Rendendo la toppa peggiore del buco”.
E' chiaro che la partita è giocata con un buon carico di ideologia, anche perché a giudicare dalle posizioni di partiti come Sel e M5S, non è difficile scovare l'intento anticattolico. “Lo dimostra il fatto che Regioni amministrate da Sel come la Puglia, che ha nel suo governatore Vendola il suo più alto esponente, il sistema integrato funziona ed è incentivato - prosegue il referente Agesc -. E anche nella “grillina” Parma il sindaco è ormai pronto a riconfermare la convenzione vigente. Segno che quando si va nel concreto delle responsabilità amministrative l'ideologia passa in secondo ordine”.
Ma la sfida è lanciata. E l'offensiva anticattolica sta macinando consensi, nonostante l'irragionevole decisione di affidare questa materia ad un referendum consultivo, dunque non decisivo, che però costerà 500mila euro. Metà di quello che il Comune dovrà dare quest'anno e che costringerà l'ente guidato da Virginio Merola ad aumentare rette e tasse.