6 agosto 2014, fuga dalla Piana di Ninive
In quella notte di agosto 120.000 cristiani furono costretti a lasciare casa e beni e solo nel 2017, dopo la caduta del Califfato, poterono fare ritorno

Nella notte del 6 agosto 2014, 120.000 cristiani furono costretti a lasciare la Piana di Ninive conquistata dal Califfato, lo Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi. Svegliati in piena notte dai jihadisti, i furono costretti a lasciare immediatamente case e averi. Tra di loro c’erano anche dei cristiani scappati da Mosul settimane prima, dopo che a giugno al Baghdadi si era impadronito della città. “Famiglie intere buttate giù dal letto con gli altoparlanti. La gente è stata costretta a scappare in pigiama. Hanno dovuto abbandonare tutto, persino le scarpe, e scalzi sono stati instradati a forza verso l’area del Kurdistan” ricordano dei testimoni. I jihadisti svuotarono persino i biberon dei bambini. Con un comunicato il cardinale Louis Raphaël Sako, Patriarca della Chiesa caldea, ha rievocato quelle terribili ore e le settimane che le hanno precedute, i saccheggi, le minacce, gli incendi delle case e delle chiese. Il comunicato ricorda che nella sola Mosul, agli inizi di questo secolo, i cristiani erano più di 100mila ed erano inseriti in un tessuto sociale in cui la maggioranza sunnita conviveva con sciiti, yazidi e altre minoranze. Ma, prima ancora delle atrocità perpetrate dall’Isis, il numero dei cristiani era iniziato a diminuire dopo il primo intervento militare degli Stati Uniti che nel 2003 portò alla caduta del regime di Saddam Hussein. È da allora che le violenze di matrice settaria sono aumentate. Sono trascorsi 11 anni, ma per i cristiani tornati nella Piana di Ninive dopo la caduta del Califfato nel 2017 la vita continua a essere difficile. “Prepotenze e intimidazioni – fa notare il Patriarca Sako nel comunicato pervenuto all’agenzia di stampa Fides – continuano: le città nella Piana di Ninive sono sotto il controllo di gruppi armati che praticano estorsioni, molestie, intimidazioni, nonché l’usurpazione delle quote parlamentari e delle opportunità di impiego nel settore pubblico a loro destinate. Eppure, nonostante queste enormi sfide, i cristiani rimangono saldi nella loro fede: la lettera rossa ‘N’ (ن) sulle porte delle loro case rimane impressa nella loro memoria e li ispira a testimoniare Cristo con fedeltà, indipendentemente dalle difficoltà che devono affrontare”. Il Patriarca Sako ha rivolto ancora una volta un appello al governo iracheno “che rappresenta tutti, affinché si assuma la responsabilità di proteggere questa popolazione cristiana autoctona e ne difenda i diritti”. È non solo una “necessità umanitaria”, ma “un imperativo nazionale per il quale la salvaguardia delle libertà e dei diritti dei cristiani e delle altre minoranze non deve essere determinata da considerazioni demografiche ma da misure giuste ed eque”. I cristiani – ricorda ancora il Patriarca Sako – “sono abitanti originari di queste terre, portatori di una ricca cultura e patrimonio, fedeli alla loro patria e protagonisti nella vita della nazione irachena nei campi dell’istruzione, della cultura, della medicina e dei servizi sociali e possono ancora contribuire alla rinascita e al progresso dell’Iraq. La comunità cristiana merita sicurezza e giustizia. Va garantita la permanenza dei cristiani nella loro terra e una pacifica convivenza fondata su tolleranza, rispetto e armonia”.