“50 sfumature di velo”. Se l’islam fa lo spiritoso
L’hanno chiamato spiritosamente “50 sfumature di velo”: l'open day dei giovani musulmani di Lodi per far conoscere la cultura islamica. Davanti al Duomo, proponevano alle ragazze che uscivano da messa di fare le prova del velo o farsi tatuare simboli islamici con l’hennè. Simpatica provocazione? Mica tanto.
Spiritosi sono spiritosi e anche piuttosto creativi, abili a “vendere” un prodotto piuttosto difficile da piazzare. Ci vuole infatti un bel coraggio e robusto senso dell’umorismo per chiamare Cinquanta sfumature di velo l’iniziativa ideata dai giovani musulmani di Lodi che domenica scorsa hanno organizzato un open day per far conoscere la cultura islamica. Hanno piantato un gazebo in piazza della Vittoria (mica scelta a caso), a due passi dal Duomo e hanno proposto alle ragazze che uscivano da messa di fare le prova del velo o farsi tatuare simboli e ghirigori islamici con l’hennè. Per uomini e bambini l’invito era ad assaggiare le delizie tipiche della cucina araba.
E per non farsi mancare niente, anche cartelloni in mostra con le shure del Corano. Una “provocazione” per permettere a donne e ragazze di provare sensazioni del “mettersi nel loro velo”, proposto in venti diverse varianti. Per sperimentare che non è poi così umiliante, come dicono, fasciarsi il viso o indossare la tunica araba perché la fede in Allah non è affatto nemica della femminilità, anzi: può essere anche glamour. La cosa, però, non ha divertito i politici del centrodestra e della Lega: furibondi per la provocazione domenicale, in coro annunciano interrogazioni in consiglio regionale e mozioni di sfiducia al sindaco (Pd) che ha dato il suo benestare.
Subdola soft submission ai tagliagola del Califfo, mascherata astutamente con gli strumenti del marketing e della comunicazione occidentale? Il sospetto è fondato, così com’è indubbio che sponsorizzare velo, simbolo della negazione delle libertà femminili, è qualcosa di più di una semplice e divertente provocazione. C’è chi parla senza mezzi termini di sfida alle tradizioni cristiane e cattoliche del popolo lodigiano con la complicità della giunta di sinistra. Di contro, gli organizzatori volano basso, sdrammatizzano e paiono stupirsi degli stupori. «Vogliamo solo far conoscere le nostre idee», ha dichiarato Hala Hibraim, 18enne nata a Lodi. «Le adesioni sono state moltissime e le persone sono state curiose di indossare il velo. Per trasmettere il vero messaggio dell’Islam basta davvero poco». Forse, ed è pure probabile che molte donne non abbiano resistito alla tentazione di provare il fascino di una mise total black (il nero è sempre smagrente) o il brivido di guardare il mondo dalle fessure del nihab. Dopo tanto scoprirsi e lotta dura a cellulite e girovita, ecco la soluzione libera tutte: ficcare pancia, glutei e seni cascanti nella coprente armatura islamica. Non si capisce perché, allora, i giovani di Lodi non abbiano fatto i musulmani fino in fondo e tra le varie opzioni di dresscode alla maomettana non abbiano proposto anche la collezione primavera-estate del burqa afghano, del khimar e del jilbab, molto in voga sulle spiagge del Golfo. Finite le scorte o furbetta censura dei capi più osè della old sharia’s style?
Ci prendiamo pure noi la libertà di scherzare sulla Da’wah Street (così hanno chiamato la loro passerella davanti alla cattedrale della Vergine Assunta) anche se l’iniziativa qualche preoccupazione meno allegra la fa nascere. Si sa, il velo non è un vezzo modaiolo: è parte integrante e integralista della religione e della giurisprudenza islamica, almeno nella versione propagandata a Lodi, quella più in voga tra gli islamici. Non in tutti i Paesi arabi le donne sono obbligate a portare il velo, ma solo in quelli dove gli integralisti hanno preso il sopravvento. Dunque, gli organizzatori del "Velo open day", tra l’altro tutti giovanissimi e tutti italianissimi, non rappresentano tutto l’islam, ma solo una sua precisa corrente. Quella che fa discendere l’obbligo di velarsi da alcuni versetti del Corano e dai precetti del profeta Muhammad. Per loro, il velo rappresenta anche il segno ostentato del rifiuto dell’integrazione e marca una differenza anche estetica con l'Occidente, com’era successo con l’abolizione della cravatta da parte della rivoluzione iraniana.
Ecco, questo dovrebbero chiarire gli spiritosoni musulmani che vorrebbero la loro Mecca a Lodi, insieme a un’altra questione di non poco conto. Dovrebbero, infatti, dichiarare il loro pensiero su quei regimi che negano ogni pluralismo religioso e mandano in galera o condanno a morte chi viene trovato con un Crocefisso al collo, osa pregare e manifestarsi cristiano o convertirsi al Vangelo. Ecco, propongano pure alle lodigiane “la prova del velo”, ma prima si sottopongano a questo rapido test della verità.