30mila coppie in attesa di adozione. La Cirinnà non serve ai bambini
Piuttosto che lasciare un bambino dentro un orfanotrofio, meglio sia adottato anche da una coppia omosessuale. Con questo ragionamento si giustifica la stepchild adoption prevista dal ddl Cirinnà. Ma le cose non stanno così.
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La discussione, in questi giorni, del ddl Cirinnà ha riportato all’attenzione il tema delle adozioni omosessuali su cui il governo, nonostante la strenua opposizione dei cattolici, ha intenzione di mettere il cappello. In momenti come questi, in cui la battaglia parlamentare è intrisa da ogni parte di questioni ideali e ideologiche, sarebbe invece bene fare un passo indietro per provare valutare le cose da una prospettiva diversa: quella del bambino.
Partiamo col precisare che la stepchild adoption prevista dalla legge in discussione non è un’adozione vera e propria, visto che almeno uno dei due membri della coppia omosessuale dev’essere già genitore naturale o adottivo. È però evidente come la volontà di gran parte del Pd sia quella di parificare coppie eterosessuali e omosessuali. Una distinzione caduta dopo che, qualche giorno fa, la maggioranza renziana ha deciso di bocciare l’emendamento Lepri-Fattorini che, forte di 22 firme di parlamentari Pd, ribadiva la differenza sostanziale tra unioni civili e matrimonio. Se tutto andrà come previsto dal centrosinistra, dal 2018 le coppie omosessuali saranno considerate vere e proprie famiglie e potranno adottare figli non propri, come già accade, ad esempio, in Francia o Spagna. Una scelta che apre la strada pure all’utero in afftitto ma che, tuttavia, secondo alcuni esponenti politici e non solo (per la conduttrice Mara Venier «piuttosto che vedere un bambino dentro un orfanotrofio, se una persona riesce a dare amore, perché no?»), andrà a vantaggio dei bambini che potranno avere una famiglia.
Ma davvero i bambini rimangono in orfanatrofio perché mancano famiglie che li accolgano? I dati dicono il contrario. Secondo quanto riporta il testo scientifico Un figlio, volerlo per poterlo avere (Ettore Cittadidini, Carlo Flamigni, Ed. La Nuova Italia Scientifica), la sterilità, intesa come mancanza di concepimento dopo 24 mesi di rapporti volutamente fecondanti, interessa il 20,6% della popolazione. Ciò vuol dire che ogni anno, con un tasso di matrimoni pari allo 0,5%, vi sono circa da 50mila a 70mila coppie senza figli. Di queste il 42% (circa 21-29.000) richiede una consulenza medica che consente di diagnosticare una causa rilevante di sterilità in un quarto circa dei casi. In molti casi la coppia non è completamente sterile ma "ipofertile" o "subfertile". In ogni caso, facendo le proporzioni, su cento coppie che cercano di avere un figlio da quindici a venti sono sterili.
Si tratta di un vero e proprio “esercito” che, se non ricorre alla fecondazione eterologa, è ben disposto ad adottare. Secondo l’Istat sono ben 5 milioni le coppie eterosessuali stabili senza figli all’interno delle quali si nasconde - secondo la Commissione per le adozioni internazionali - un esercito di 12mila persone che, nel 2013, ha richiesto un’adozione (+20% rispetto ai circa 10mila del 2006). Sul fronte delle adozioni nazionali, ci dice l’associazione Amici dei bambini, «i minori dichiarati adottabili nel 2011 sono stati 1.251 (di cui 359 con genitori ignoti e 892 con genitori noti) mentre le adozioni nazionali pronunciate nel 2011 sono state 1.016: quindi 235 minori non sono stati adottati». Per quanto riguarda le adozioni internazionali, informa il Cai, «nel 2013 sono stati autorizzati all'ingresso in Italia 2.825 minori stranieri, a fronte dei 3.106 dell’anno precedente, con un decremento del 9%, a loro volta le coppie adottive che hanno portato a termine un’adozione nel 2013 sono state 2.291 rispetto alle 2.469 del 2012 con un decremento del 7,2%».
Facendo un rapido calcolo si può vedere come, di media, ogni anno vengano adottati in Italia dai 3mila ai 3.500 bambini, gran parte stranieri, a fronte di ben 12mila coppie disposte che, citando la Venier, sono disposte a «dare amore». Il che significa che meno di una coppia su tre vede soddisfatta la sua richiesta. Spesso le adozioni si trasformano in una vera e propria odissea come quella di ventisei coppie italiane che, nel 2013, sono rimaste bloccate per oltre un mese a Kinshasa (Congo) per un pasticcio burocratico. Se tanti bambini restano nelle case famiglia invece che ricevere il calore di una famiglia la colpa non è, evidentemente, della mancanza di coppie quanto di un deficit legislativo. Bisognerebbe rendere più semplici le adozioni nazionali riducendo le procedure burocratiche che, secondo Amici dei bambini, hanno creato una lista d’attesa di ormai 30mila coppie.
di Matteo Borghi