VERMICINO
30 anni fa il dolore per la prima volta in tv
La lunga diretta sulla tragedia di Alfredino Rampi che ha segnato una svolta nella tv spalancando le porte al sensazionalismo mediatico.
Attualità
13_06_2011
Erano le 7 del mattino del 13 giugno 1981 i telespettatori italiani assistettero impotenti alla morte di Alfredino Rampi. La sera di due giorni prima il bambino di 6 anni era caduto in un pozzo artesiano largo meno di 30 centimetri e profondo 80 metri, in una frazione di campagna vicino a Frascati, lungo la via per Vermicino. La Rai trasmise in diretta a reti unificate per 18 ore la lenta agonia del piccolo. Oltre ai soccorritori e alle forze dell’ordine, sul luogo accorsero l’allora presidente Sandro Pertini e centinaia di persone, ma fu il mezzo televisivo a calamitare l’attenzione nazionalpopolare facendo diventare la tragedia il primo evento mediatico vero e proprio.
Quando cominciò, la diretta da Vermicino era destinata a durare poche ore, almeno nelle speranze di chi era convinto di riuscire a salvare Alfredino. Ma i tentativi per tirarlo fuori dal pozzo si rivelarono infruttuosi e in alcuni frangenti anche drammaticamente goffi. Il bambino continuava a scivolare giù e quando fu creato un tunnel parallelo per cercare di salvarlo, le vibrazioni dello scavo lo fecero sprofondare ancora di più. Un vigile del fuoco continuò a parlare con il bambino per tenerlo sveglio, incoraggiarlo e confortarlo.
Non mancarono tentativi disperati, come quello dell’esile Angelo Licheri, che si fece calare a testa in giù nel pozzo ma non riuscì ad allacciare al piccolo l’imbragatura che probabilmente lo avrebbe salvato. Il microfono calato nel pozzo per consentire ai famigliari – e agli spettatori – di sentire la sua voce raccolse pian piano un tono sempre più flebile, fino al tragico epilogo.
I dati Auditel del tempo restituirono un cinico responso: venne stimata un’audience di oltre 21 milioni di spettatori. L’Italia intera si era fermata ad assistere alla tragedia in diretta, pregando e sperando che il bambino alla fine potesse farcela. La cronaca televisiva della vicenda di Alfredino ha segnato una svolta irreversibile nella televisione: quel 13 giugno di trent’anni fa è stato inesorabilmente infranto il tabù della morte in diretta. In quel momento è caduto ogni pudore e da lì in poi molte altre sono state le “grandi dirette televisive” su casi drammatici e dolorosi.
Purtroppo la tv di oggi ci ha abituato a vedere da vicino e in tempo reale qualsiasi tipo di evento. Anzi, approfitta sempre più spesso (e volentieri) di quelli a più alta densità emotiva per cercare di catturare l’attenzione degli spettatori. All’epoca della tragedia di Vermicino l’offerta televisiva era ancora in una fase di lenta evoluzione e seguiva schemi tradizionali; l’evento porse su un piatto d’argento l’occasione per una svolta decisa e improvvisa, spalancando le porte a quel sensazionalismo mediatico che oggi è diventato una sorta di regola acchiappa-ascolti.
Anche il ruolo di giornalisti e operatori dell’informazione fu rivoluzionato da quel giorno. A quell’epoca non era facile raccontare eventi tragici in tempo reale rispettando sia la dignità delle vittime che la sensibilità degli spettatori. I mezzi tecnici a disposizione, inoltre, non permettevano di sostenere lunghe dirette da ambienti esterni. La tv ne uscì apparentemente commossa, ma dentro di sé quasi orgogliosa di aver abbattuto un’altra barriera sociale e di aver dimostrato che il suo sguardo elettronico poteva spingersi dentro qualunque situazione e oltre qualunque limite morale, senza risparmiare nemmeno una mamma e un papà costretti a piangere la sorte del figlio davanti a milioni di spettatori.
Con la tragedia di Vermicino un fatto di cronaca è diventato un angoscioso ed emozionante racconto tragico che non è servito affatto a riflettere sulle possibili implicazioni della tv del dolore, ma soltanto a sdoganare e rendere tollerabile un nuovo genere di successo: lo spettacolo costruito sulla sofferenza altrui.
A distanza di tanto tempo, è ancora aperto l’interrogativo di fondo: è stato giusto o no trasmettere in diretta l’agonia di Alfredino Rampi? Facile rispondere “no” oggi. Ma quanti fra quelli che adesso risponderebbero in modo negativo avrebbero rinunciato allora a stare ore e ore incollati al piccolo schermo, aspettando una svolta ma ben sapendo che di fronte ai loro occhi c’era soltanto il lento spegnersi di un bambino molto sfortunato?
Nel ricordo un po’ sbiadito di oggi, resta l’eco della sua voce infantile, resta la fotografia in bianco e nero di lui sorridente, resta il mistero sulla dinamica dell’incidente che lo portò in fondo al pozzo. Resta, soprattutto, l’amaro in bocca per una deriva sensazionalistica del mezzo televisivo che da quel giorno non si è più fermata.