2016, fuga dall'Italia
Non c'è solo il record nel numero dei giovani che vanno a lavorare all'estero; un altro rapporto spiega come il sistema (mala)giustizia e la burocrazia tengono lontani dal nostro Paese potenziali investitori, a meno che non ci sia da approfittare dei "saldi di fine stagione". Invertire la tendemza? solo se si ripensa il sistema scolastico.
Negli ultimi giorni l'autostima dell'Italia e degli italiani ha subito due durissimi colpi. Il Rapporto "Italiani nel mondo 2016", presentato a Roma dalla Fondazione Migrantes, documenta che nel 2015 ben 107.529 connazionali sono espatriati. Rispetto al 2014 si sono iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) 6.232 persone in più, con un incremento del 6,2%.
Ad abbandonare il nostro Paese sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni (36,7%). Tra di loro ci sono i cosiddetti talenti, i giovani migliori e più preparati, che cedono alle sirene dell'esterofilia non già per un superficiale preconcetto bensì per la concreta assenza di opportunità in Italia.
Secondo campanello d'allarme per il "Sistema Italia" giunge invece dalle cifre contenute in un Rapporto curato dal gruppo di lavoro The European House-Ambrosetti e relativo alla cosiddetta "malagiustizia". Sono circa 22 miliardi di euro, pari all'1,3% del Pil, i costi della giustizia che non funziona. Alla base di quell’interessante documento ci sono alcuni dati impietosi diffusi dall’Ocse e dalla Banca Mondiale. Secondo le stime dell’Ocse, l’Italia è fanalino di coda nella classifica dell’efficienza della giustizia civile. Da noi il tempo medio che un processo impiega per arrivare in Cassazione è pari a circa otto anni (2.866 giorni per l’esattezza), a fronte dei 788 giorni della media degli altri Paesi Ocse. Osservando inoltre la classifica “Doing Business 2016” della Banca Mondiale, citata nel documento,si ricava l’immediata percezione delle disfunzioni della giustizia italiana, che costringe i creditori a un’attesa media di tre anni (1.120 giorni), laddove in Francia bastano 395 giorni per riscuotere un credito, in Germania 429 e nel Regno Unito 437.
E questo quadro a tinte fosche non fa altro che tenere ben lontane dai confini italiani le multinazionali, timorose che investire nel nostro Paese possa tradursi in un calvario senza fine, tra cavilli burocratici, ricorsi pretestuosi e una litigiosità esasperante.
Molte holding preferiscono stare alla larga dal nostro Paese e investire altrove, a meno che, per usare una metafora efficace, non riescano ad approfittare dei cosiddetti "saldi di fine stagione" che di tanto in tanto in ambito bancario-finanziario e industriale consentono a soggetti stranieri di appropriarsi di fette consistenti di patrimonio nazionale, con la complicità di chi sta al governo.
Alle fughe delle menti italiane all’estero si somma, quindi, lo scetticismo degli operatori industriali e finanziari internazionali verso il clima socio-economico e giuridico che si respira nel nostro Paese. Le lungaggini nelle procedure, infatti, si traducono in costi anche legali per i potenziali nuovi investitori, che spesso desistono. La spia di un sistema giudiziario esasperatamente litigioso e tremendamente congestionato è rappresentata anche dal numero esorbitante di avvocati: quelli italiani sono circa un quarto di tutti gli avvocati dell’Unione europea.
E allora come se ne esce? Anzitutto con una riforma della giustizia che sappia interpretare le ragioni delle imprese e dei cittadini anziché limitarsi alla sterile difesa dei paralizzanti corporativismi. Quanto, invece, alla dilagante emorragia di cervelli, va detto che gli italiani, giovani e meno giovani, oggi guardano sempre di più all’estero per soddisfare i propri desideri lavorativi, in particolare all’Europa.
I "Millennials", cioè i giovani tra i 18 e i 32 anni, sono una generazione istruita ma penalizzata dal punto di vista delle possibilità lavorative. Il rapporto Migrantes cita infine i dati di uno studio dell’Istituto Toniolo, secondo cui i Millennials sono la prima generazione nella quale la scelta non è tanto se partire ma se restare all'estero senza fare più rientro nel nostro Paese.
È stato lo stesso Presidente della Repubblica a esprimere preoccupazione per i dati sui Millennials, da lui interpretati come "un segno di impoverimento". La verità è che il discorso è assai più articolato. L'appiattimento verso il basso dell'istruzione nel nostro Paese fa sì che i giovani italiani apprendano a scuola o in università nozioni che scoprono essere inutili nel percorso professionale. I giovani, grazie ai programmi di mobilità sul modello Erasmus, toccano fin da subito con mano il gap tra l'Italia e gli altri Stati per quanto riguarda le opportunità professionali.
E allora, per invertire negli anni la tendenza all'esodo massiccio di menti italiane, occorrerà agire anche e soprattutto sul sistema scolastico e universitario, valorizzando le eccellenze e superando progressivamente l'egualitarismo che ha svilito le ambizioni delle nuove generazioni e appiattito verso il basso gli standard qualitativi della loro formazione.