2013, fuga dall'Afghanistan
L'anno che sta per iniziare vedrà il ritiro della gran parte delle truppe alleate. Ma le forze afghane sono palesemente non in grado di sostenere la pressione dei talebani senza il supporto della Nato. Già oggi il liuvello di violenza in Afghanistan è superiore al 2010, e ogni mese vengono uccisi in media 300 tra poliziotti e militari locali.
Il ritiro delle truppe della Nato dall’Afghanistan si completerà nel 2014 lasciando spazio a una missione di supporto e addestramento ancora tutta da definire ma che dovrebbe coinvolgere non più di 10/15 mila militari alleati per lo più statunitensi. In realtà l’anno cruciale nel quale le truppe afghane saranno chiamate a fare quasi tutto da sole nella lotta ai talebani sarà l’ormai imminente 2013 quando il grosso delle truppe alleate, già ridotte in questi ultimi sei mesi da 130 mila a poco più di 90 mila effettivi 68 mila dei quali statunitensi, lascerà il Paese asiatico e cesserà le attività di combattimento.
Un tema sul quale negli Stati Uniti il dibattito tra militari e amministrazione Obama è vivace anche se poco pubblicizzato. La Casa Bianca vorrebbe procedere al rapido rimpatrio di almeno 30 mila soldati entro i prossimi sei mesi mentre il Pentagono chiede di mantenere l’attuale livello di truppe fino a settembre. Una richiesta motivata dalla consapevolezza che, al di là delle dichiarazioni “politiche” e delle chiacchiere sulla transizione dei compiti di sicurezza agli afghani, le forze di Kabul non possono farcela da sole. Prive di elicotteri (appena una trentina quelli in servizio oggi) e di mezzi protetti anti mina, i 350 mila poliziotti e militari afghani soffrono di gravi carenza anche sotto il profilo della motivazione a causa di corruzione diffusa, alto tasso di tossicodipendenti e di infiltrati talebani nei reparti che nel 2012 hanno ucciso almeno una sessantina di militari alleati e oltre 200 afghani.
Il “Rapporto sui progressi verso la sicurezza e la stabilità in Afghanistan”, redatto dal Pentagono e presentato a inizio dicembre al Congresso sottolinea come solo una delle 23 brigate dell’Afghan National Army sia in grado di combattere autonomamente senza il supporto della Nato benché il 76 per cento della popolazione viva in aree controllate dalle truppe e dalla polizia di Kabul. Il livello di violenza nel Paese è oggi superiore al 2010, prima cioè dell’invio dei 33 mila rinforzi statunitensi il cui ritiro è stato appena completato. Solo nei grandi centri urbani di Kabul e Kandahar il tasso di violenze è calato.
Non è un caso che l’ultimo rapporto semestrale al Congresso sia stato consegnato in ritardo, due mesi dopo il previsto, successivamente alle elezioni presidenziali di novembre. Un posticipo dal sapore politico per il quale il Pentagono non ha fornito spiegazioni ma che evidentemente puntava a non offrire al candidato repubblicano Mitt Romney e all’opinione pubblica dati concreti con i quali criticare il rapido disimpegno dall’Afghanistan voluto da Obama.
Sui campi di battaglia i nodi verranno però al pettine molto presto, probabilmente già dalla prossima primavera. Nel settore Ovest gli italiani hanno già dimezzato, da 4 a 2, i reparti da combattimento riducendo il contingente da 4.200 unità a 3 mila e cedendo alle forze afghane la provincia di Badghis, i distretti orientali (i più caldi) di quella di Farah e quasi tutti quelli di Herat. Nella stessa area gli spagnoli riporteranno a casa nel 2013 almeno il 75 per cento dei loro 1.500 soldati. Dal gennaio 2014 ne resteranno solo 350 con compiti logistici e forse addestrativi. Più a nord i tedeschi ritireranno l’anno prossimo 1.300 degli attuali 4.600 soldati mentre dallo stesso settore se ne sono già andati 500 norvegesi e presto partiranno gli ultimi 330 ungheresi. Nell’est i francesi hanno già sospeso le attività di combattimento ritirando 2.500 dei loro 4 mila soldati schierati tra Kabul e la provincia di Kapisa. Altri mille se ne andranno nei prossimi tre mesi e gli ultimi 500 resteranno ancora per un po’ con compiti addestrativi. Anche gli australiani hanno ceduto le loro basi agli afghani iniziando il ritiro dei 1.550 militari schierati a Oruzgan e solo le pressioni di Washington hanno indotto Canberra a mantenere nel Paese alcune decine di istruttori.
Nel 2013 Il ritiro più massiccio, dopo quello statunitense, sarà però quello dei britannici. Il secondo contingente alleato in Afghanistan scenderà nei prossimi mesi da 9.000 a unità a 5.200. Non si tratta solo di numeri ma anche di capacità belliche che verranno meno in seguito a una ritirata mascherata dietro al termine “transizione” e dettata dalle difficoltà dell’Occidente a sostenere nel tempo un conflitto a bassa intensità ma che determina costi finanziari e in vite umane senza lasciar intravvedere una possibile vittoria.
L’anno che sta per chiudersi ha visto un nuovo calo delle perdite alleate, pari finora a 400 caduti (dei quali 310 statunitensi e 44 britannici) contro i 566 dell’anno scorso e i 711 del 2010, l’anno più sanguinoso della guerra. Crescono invece le perdite tra le truppe afghane che registrano circa 300 militari e poliziotti uccisi ogni mese e che, secondo il Ministero della Difesa di Kabul, gestiscono ormai l’80 per cento delle operazioni militari.