W Perón e il Papa: in Vaticano la Messa è comizio
Non solo la comunione sacrilega. La Messa per il presidente argentino Fernandez nelle grotte vaticane è stato un concentrato di slogan ideologici che delineano una deriva inquietante: la Messa ha perso Dio per farsi rivendicazione politica. Nell'omelia del vescovo Sorondo, Perón viene "santificato" e accostato a Papa Bergoglio mentre sull'altare compare la foto di un prete montonero. Ma c'è un vescovo che si ribella a questo sacrilegio sotto gli occhi di San Pietro.
Non solo la comunione sacrilega del presidente della nazione abortista. Il peronismo argentino è sbarcato a Roma e ha occupato anche la liturgia in una messa ideologica e politica chiamata dai giornali argentini misa peronista. È la nuova frontiera della prassi del momento: dato che il trascendente si allontana sempre di più, a occupare il suo spazio è stata la politica. Sotto gli occhi di San Pietro, le cui povere membra martoriate dai Romani, a pochi passi dall’altare riposano. Cosa deve sorbirsi: una messa politica celebrata dal cancelliere di fiducia di Papa Francesco, il vescovo Sanchez Sorondo, argentino, che sembra aver preso in animo, dopo la bestialità della Cina come Paese dove si applica la dottrina sociale della Chiesa, anche di riformare in chiave peronista e privatistica la Messa. Ricordi personali e elogi al caudillo che fu scomunicato dalla Chiesa per le sue frequentazioni massoniche e la sua lotta alla Chiesa, con la creazione di una sorta di Chiesa nazionale, salvo una riabilitazione successiva.
La celebrazione è sempre quella: 31 gennaio. A pochi minuti dall’incontro tra il presidente Alberto Fernandez e compagna (non sposata) con Papa Francesco. I due vengono ritratti mentre fanno la comunione. Ma lui è dichiaratamente abortista e vive more uxorio. E questo, nonostante – certo che Dio in quanto a ironia non lo batte nessuno – la lettura del giorno riportasse l’episodio dell’adulterio di Davide con Betsabea al termine della quale si dice “Parola di Dio” e il Salmo affermasse che “Io riconosco la mia colpa, ho sempre presente il mio peccato”.
Ma prima che si consumasse la comunione sacrilega di Fernandez, la Messa aveva già preso una piega da scampagnata peronista.
A cominciare dall’immagine posta sull’altare, quella di Carlos Mugica, prete marxista, terzomonidsta della Teologia della Liberazione che viene considerato – anche se non abbracciò mai la lotta armata – l’assistente spirituale dei Montoneros. Fu assassinato nel 1974, ma non risulta che sia beato tanto da collocarlo sull’altare come esempio per i cattolici.
L’omelia di Sorondo poi è davvero esemplificativa per mostrare a che livello si sia giunti nell’impossessarsi della liturgia per i propri scopi politici.
Abituato a lodare il regime cinese, non si è dato alcun problema nel lodare anche Peron e tra ricordi personali e battute, ha trovato anche il tempo per svelare una vicinanza tra Papa Francesco e il caudillo: «Ciò che non si sarebbe mai immaginato Perón era che l’Argentina avrebbe potuto avere un Papa. E un Papa vicino a lui», ha detto tra una colletta e un prefatio.
Insomma, Sorondo non solo ha svelato le simpatie peroniste di Bergoglio - cosa tra l’altro non misteriosa né disdicevole, ci mancherebbe -, ma ha anche presentato in forma omiletica un trait d’union tra il cammino della Chiesa e quello della Nazione: «Ha fatto tanto, dobbiamo proseguire su quel cammino».
Non a caso la Messa è stata chiamata anche «della riconciliazione», anche se non si capisce bene da che cosa, data la situazione irregolare del presidente. Forse riconciliazione tra la Casa Rosada e Santa Marta visti i rapporti gelidi che ci sono sempre stati con il predecessore di Fernandez, Mauricio Macri.
Di sicuro, Sorondo tifa peronista, solo che si serve della messa per potercelo far sapere: «Dio ci sta mostrando un cammino importante, che vuole risollevare l’Argentina e che si metta in piedi una volta per tutte», ha detto. Insomma: Fernandez è un uomo della Provvidenza e il governo peronista una benedizione del cielo. Parola di Sorondo, ma non di Dio.
La cosa non è sfuggita a monsignor Hector Aguer, vescovo emerito di La Plata, uno dei pochi vescovi che ultimamente ha il coraggio di parlare apertis verbis contro certe derive ecclesiali: «Non credo che la Messa abbia contribuito all’effettiva riconciliazione degli argentini, dato che multi di loro non vogliono vedere la Chiesa schierarsi in un settore politico, qualunque esso sia e nel caso hanno anche un’opinione negativa del celebre ex presidente e della sua azione di governo (Perón, ndr)». Una difesa in piena regola della dottrina liturgica e – già che ci siamo – anche di quella sociale della Chiesa.
Aguer non ha mancato di sottolineare anche la comunione sacrilega del presidente Fernandez e ha ricordato che «del quale non si conosce la pratica religiosa assidua e si sa che i due non sono uniti nel sacramento del matrimonio».
Aguer a parte, però l’episodio è scivolato via come acqua sul marmo dell’altare vaticano.
L’episodio non va però derubricato come problematica esclusivamente che riguardi la Chiesa o la politica argentina. La personalizzazione della messa in chiave peronista risponde alla precisa esigenza di mondanizzare il santo sacrificio per scopi politici e ideologici. Oggi è Perón. Domani potrebbe arrivare un’altra esigenza politica. Cosa facciamo? Prepariamo i messali anche per il nuovo rito socialista? Ci inginocchieremo all’elevazione durante il canone del sovranista?