Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

RITRATTI

Vittoriano Rastelli, l'uomo che cliccava il Papa

In mezzo secolo ha fotografato
sei pontefici. Una vita di ricordi
da condividere, la sua, tra cui il dì
che Wojtyla lo bastonò -con dei fiori.

Cultura 21_05_2011
Giovanni Paolo II e Vittoriano Rastelli

Sei Papi immortalati dai suoi magici clic, una carriera ricca di memorabili reportage, come quelli che hanno documentato, per la rivista Life, lo storico viaggio di Paolo VI in Terra Santa, nel gennaio del 1964, e l’invasione dei carrarmati sovietici in Cecoslovacchia. Il fotoreporter Vittoriano Rastelli, genovese, 75 anni portati magnificamente, ha cominciato la sua professione da quando ne aveva 23, lavorando per varie testate tra cui Epoca, dal 1974 al 1997, il magazine tedesco Stern e quello americano Time. Oggi, da freelance, Rastelli non si è ancora stancato di “creare immagini” che, attraverso personaggi e fatti di cronaca, “segnano i tempi”. Anzi, dimostra un entusiasmo da ragazzino. La sua più recente fatica è la mostra “All’Altare di Dio”, allestita ai Musei Capitolini, in Campidoglio, a Roma, che ripercorre i momenti e i gesti salienti del Magistero di Giovanni Paolo II. «Ho fotografato il Papa polacco in mezzo alla gente comune, quella che lui amava: le famiglie, i bambini, i giovani, i sofferenti - spiega Rastelli _ e tra le 150 immagini esposte non ce n’è nemmeno una che lo ritragga vicino a politici o a capi di Stato».

Perché questa scelta?
Perché ho voluto essere il più fedele possibile al suo messaggio.

Lei con Papa Woityla ha avuto parecchi “incontri ravvicinati”…
Nella mia carriera ho fotografato ben sei papi , da Pacelli a Ratzinger, ma l’esperienza vissuta al seguito di Woityla nei suoi numerosi viaggi, è stata la più intensa e coinvolgente. La mostra di Palazzo Caffarelli, che dal 25 maggio prossimo fino all’11 settembre sarà allestita anche al Castello Reale di Varsavia, ripercorre i primi mille giorni del Pontificato del Papa proclamato beato il primo maggio scorso. Ecco perché l’esposizione, curata da Carlo Orichuia e patrocinata dal Comune e dalla Fondazione “Duc in Altum”, si apre con l’immagine del giovane cardinale di Cracovia che entra in Conclave e si chiude con quella della sedia papale vuota in piazza San Pietro il giorno dell’attentato.

“All’altare di Dio” potrà essere ammirata anche in altre città del mondo.
Sì, a Madrid, Lisbona, Manila e Buenos Aires.  Una grande soddisfazione per me. Devo ringraziare, per questo, anche il cardinale Stanislaw Dziwisz (già segretario personale di Giovanni Paolo II, ndr), e Lorenzo Gulli (ex vaticanista e dirigente Rai, ndr), rispettivamente presidente onorario e presidente della Fondazione Duc in Altum, che ha organizzato e sostenuto l’iniziativa.

Quando ha cominciato a fotografare i Papi?
Nell’ottobre del 1958, quando morì Pio XII. Realizzai un servizio per i suoi funerali, fotografai il suo corpo esposto sul catafalco in San Pietro. È stato il mio esordio come fotografo a Roma. Poi fu la volta di Giovanni XXIII che seguì nel suo primo viaggio ad Assisi, in treno, e nelle visite parrocchiali che faceva durante la Quaresima nei quartieri popolari di Roma.

Che ricordo ha, invece, di Paolo VI?
Mah, è stato un grandissimo Papa, mi dispiace che non abbia avuto, da parte dell’opinione pubblica, la stessa considerazione dei suoi predecessori. La mia carriera è piena di ricordi di questo pontefice. L’ho seguito in tutti i suoi viaggi all’estero, tra cui quello storico in Terra Santa, il primo di un Papa in aereo. Ho realizzato 5 pagine e mezzo per Life, nascondendomi anche nel campanile della chiesa del Monte Tabor per fotografare Paolo VI in preghiera… Su questo pontefice mi piace ricordare un episodio: un giorno, durante la visita a un campo nomadi di Pomezia, pronunciò parole splendide nei confronti degli zingari e della loro cultura… Un atteggiamento che dovrebbe far riflettere, anche oggi, molti che si dicono cattolici e non vedono di buon occhio questa gente…

È vero che Papa Montini “snobbava” i giornalisti, al contrario di come invece è stato per i pontefici venuti dopo di lui? 
Beh, durante i suoi viaggi all’estero, in aereo, usciva sempre dalla sua zona, attraversava il corridoio per venire a benedire noi reporter, senza parlare mai, e poi tornava a sedersi al suo posto. Niente domande, non ne faceva e non gliene venivano rivolte. Solo un giorno, lo ricordo bene, si fermò a salutare personalmente l’inviato dell’Unità, Antonello Trombadori, chiamandolo per nome…

Racconti…
Era il viaggio di ritorno da Kampala, il 2 agosto del 1969, dopo il pellegrinaggio in Uganda. Nell’aereo del Vaticano ero seduto tra il collega dell’Ansa e Trombadori. Quindi sono testimone diretto di quel sorriso e di quelle parole pronunciate da Paolo VI per salutare il giornalista dell’organo ufficiale del Pci. Il perché di quel gesto, lo scoprimmo 20 anni dopo:  lo voleva ringraziare delle lettere che aveva consegnato, su sua richiesta, al presidente vietnamita Ho Chi Minh. Erano missive che chiedevano la pace in quel martoriato Paese e la salvaguardia della comunità cattolica, perseguitata dal regime comunista.

Cosa ci può raccontare di Giovanni Paolo I?
Il suo Pontificato durò solo 33 giorni. Seguì le vicende del conclave e la sua elezione e poi decisi di andare finalmente in vacanza con la mia famiglia in Toscana, dopo uno stressante, lungo periodo di lavoro. Una mattina accesi la radio e ascoltai un comunicato che parlava di Papa Luciani al passato… Seppi così che era morto. Presi la macchina e tornai a Roma, praticamente volando, per fare il mio servizio fotografico.

Un episodio curioso su Giovanni Paolo II?
Una volta mi picchiò.

Come, scusi?
Sì… insomma, mi “bastonò” in testa con un mazzo di fiori.

E perché?
Eravamo all’aeroporto di Kesenga, in Congo. Volevo fotografarlo mentre abbracciava due bambini neri, così mi buttai in avanti impallando gli obiettivi dei miei colleghi che protestarono vivacemente. Così il Papa, accortosi della mia scorrettezza, mi colpì con i fiori che aveva in mano. Feci un primo piano che si può vedere nella mostra di Roma.

Ha conosciuto anche Joseph Ratzinger?
Sì, ma prima che fosse eletto Papa. Lo fotografai in Vaticano quando Giovanni Paolo II gli affidò l’incarico di Prefetto della Santa Congregazione per la Dottrina della Fede. E mi fece subito una buona impressione…