Vescovi Usa nella continuità, cambia solo il nome
I vescovi statunitensi hanno scelto il loro presidente dopo l'infarto occorso a Daniel Di Nardo, che ha guidato la Conferenza episcopale Usa nella tempesta provocata dallo scandalo McCarrick. Il testimone va al "messicano" José Horacio Gomez, che ha fama di essere uno strenuo difensore della dottrina.
Questa settimana i vescovi statunitensi hanno scelto il loro presidente a Baltimora. Il cardinale Daniel Di Nardo, che ha guidato - con rettitudine - la Conferenza nella tempesta provocata dallo scandalo McCarrick ed è reduce da un infarto, ha lasciato il testimone a monsignor José Horacio Gomez, suo vice fino ad oggi. Un segnale di continuità per un candidato che ha saputo unire l'assemblea, raccogliendo 176 preferenze e superando, quindi, di 56 voti il quorum richiesto per l'elezione.
La presidenza di Gomez cambierà la linea che ha contraddistinto fino ad oggi la Chiesa statunitense? In questi giorni molti commentatori hanno voluto sottolineare come il nuovo presidente della Conferenza episcopale Usa sia nato in Messico ed abbia assunto posizioni critiche verso le politiche migratorie dell'amministrazione Trump. Monsignor Gomez è il primo ispanico ad assumere la guida dei vescovi a stelle e strisce: ricopre l'incarico di arcivescovo di Los Angeles, la diocesi più grande d'America e in cui la popolazione cattolica è formata in grande maggioranza da fedeli che hanno la sua stessa origine.
Il presule, nato a Monterrey e divenuto cittadino degli States ad età avanzata, si è speso in favore di una legislazione che riconosca i diritti dei cosiddetti dreamers, i migranti irregolari arrivati minorenni negli Usa. La sua elezione, però, non sembra proprio annunciare un cambio di passo nella linea della Chiesa statunitense: la rivendicazione di politiche più umane sui migranti è stata presente nell'agenda dei vescovi anche durante la presidenza Di Nardo. Il neoeletto presidente, inoltre, nonostante la storia personale e le personali convinzioni espresse più volte anche pubblicamente sull'argomento, ha sempre preferito evitare i toni duri di rimprovero verso i sostenitori delle politiche trumpiane: in un libro dello scorso anno ha ammesso di comprendere le ragioni di chi chiede maggiori controlli alle frontiere, arrivando a scrivere che "gli oppositori dell'immigrazione stanno cercando di esprimere qualcosa di ammirevole e patriottico; stanno cercando di difendere il Paese che amano".
Non dovrebbe esserci, dunque, l'apertura di una fase di scontro frontale tra la Chiesa e l'attuale amministrazione, così come non dovrebbero esserci stravolgimenti neppure sui temi etici: monsignor Gomez, ordinato sacerdote nei seminari dell'Opus Dei, ha dato prova di essere un inflessibile difensore della dottrina cattolica. Da pastore ha dimostrato di non gradire il protagonismo politico di alcuni settori del mondo cattolico vicini all'ambiente più liberal dei Democratici: nel 2008 criticò la scelta della St. Mary’s University di ospitare una tappa elettorale dell'allora senatrice e candidata alle primarie, Hillary Clinton. Parlando ufficialmente come arcivescovo di Sant'Antonio, il neopresidente della Conferenza episcopale Usa ricordò all'istituto accademico che "le istituzioni cattoliche hanno il dovere di insegnare e promuovere i valori cattolici in ogni circostanza e ciò è particolarmente importante quando la gente guarda alle nostre università e ai nostri college cattolici per trovare leadership e chiarezza per il discorso politico, spesso complicato e conflittuale”.
“E’ chiaro - aggiunse all'epoca Gomez in una nota - che le posizioni della senatrice Clinton e alcune degli altri candidati presidenziali su importanti questioni relative alla vita non sono conformi all’insegnamento della Chiesa cattolica”. Sempre durante il suo periodo in Texas, il presule d'origini ispaniche sciolse d'autorità la commissione diocesana di giustizia e pace che si era espressa contro un emendamento costituzionale dello Stato che vietava la celebrazione di unioni tra persone dello stesso sesso.
Il profilo del neopresidente non si discosta molto da quello del suo successore alla vicepresidenza: monsignor Allen Vigneron, che ha prevalso al terzo turno sull'ordinario militare, monsignor Timothy Broglio, da arcivescovo di Detroit aveva ricordato in un'omelia che i cattolici sostenitori dei cosiddetti matrimoni arcobaleno cadono in contraddizione se poi si accostano all'Eucarestia. Nel 2011, inoltre, aveva invitato il clero della sua diocesi a non partecipare ad un evento - presentato come liturgia eucaristica e che vedeva la concelebrazione di laici - organizzato da un gruppo di cattolici liberal impegnato a rivendicare l'introduzione di cambiamenti radicali all'interno della Chiesa, avvertendoli del rischio di essere dismessi dallo stato clericale.