Verdini spariglia i giochi. Ora è Alfano a rischiare
Per molti sarebbe una riedizione della Democrazia cristiana, con varie correnti facenti capo a tradizioni diverse, ma un unico obiettivo: rimanere al governo con un’ampia maggioranza. Si parla da tempo di “Partito della Nazione” quale obiettivo di medio periodo della strategia renziana, ma non c’è dubbio che l’avvicinamento di Denis Verdini all’esecutivo potrebbe accelerarne la realizzazione.
Per molti sarebbe una riedizione della Democrazia cristiana, con varie correnti facenti capo a tradizioni diverse, ma un unico obiettivo: rimanere al governo con un’ampia maggioranza. Si parla da tempo di “Partito della Nazione” quale obiettivo di medio periodo della strategia renziana, ma non c’è dubbio che l’avvicinamento di Denis Verdini all’esecutivo potrebbe accelerarne la realizzazione. L’ultima scissione in Forza Italia potrebbe, infatti, ridisegnare il perimetro dello scenario politico italiano e aprire nuovi orizzonti. Quali?
Oggi Verdini dovrebbe ufficializzare la costituzione del suo nuovo gruppo al Senato, (“Azione liberale, popolare e per le Autonomie”) costituito da 11 fedelissimi, pronti a votare le riforme che il governo presenterà nei prossimi mesi o che ha già presentato. A guidare il gruppo sarà Lucio Barani, toscano, di tradizioni socialiste. L’operazione era nell’aria da tempo, ed è stato geniale farla venir fuori alla vigilia della pausa estiva, al fine di stemperare le tensioni, sia in uno schieramento che nell’altro. Il mese di agosto dovrebbe fungere da camera di decantazione delle polemiche che questo strappo porta con sé. In Forza Italia c’è chi esulta per essersi liberato di una presenza ingombrante come quella di Verdini, ma anche chi, viceversa, sottolinea con preoccupazione la sua capacità di trascinare fuori dal partito altri parlamentari.
A sinistra il feeling Verdini-Renzi viene visto come fumo negli occhi da quanti ora pensano di contare meno e di non essere più determinanti. La sinistra dem teme che questa pattuglia di “neoresponsabili” pronti a sostenere il governo faccia diminuire il suo peso specifico nelle scelte dell’esecutivo. Stesso timore che hanno gli alfaniani e i centristi, finora determinanti su tutto e ora a rischio marginalizzazione, soprattutto se altri deputati forzisti, nelle prossime settimane, dovessero aggregarsi a Verdini.
E allora la domanda da farsi è: il patto Verdini-Renzi può fare più danni alla maggioranza, spaccandola ulteriormente, o all’opposizione, erodendone ulteriormente la base elettorale? Le scuole di pensiero su questa nuova operazione trasformistica sono due. La prima la ritiene lo sbocco inevitabile di un progressivo appiattimento di Forza Italia sulle posizioni di Salvini, che lascerebbe campo libero a Renzi nella conquista dell’elettorato moderato tradizionalmente vicino a Forza Italia e oggi desideroso di nuovi riferimenti. In questa logica, la formazione del gruppo verdiniano sarebbe il primo tassello di un disegno teso a costituire il “Partito della Nazione”, cioè un rassemblement di centro guidato dallo stesso Renzi e attrattivo nei confronti di buona parte del Pd.
La seconda, invece, accredita un’interpretazione molto più prosaica e di basso profilo. Verdini in questa fase ha bisogno di blindare la sua immunità parlamentare e quindi si aggrappa a Renzi per assicurarsi altri tre anni di legislatura, peraltro al governo, in maniera più o meno diretta. Con lui i transfughi forzisti che sono ormai certi di non essere più ricandidati e che quindi puntano a riciclarsi. E c’è anche chi azzarda l’ipotesi che questa scelta sia frutto di un accordo tra Verdini e Berlusconi, che farebbero finta di litigare, ma in realtà sarebbero d’accordo.
D’accordo perché? In questo modo Verdini presiede l’area di governo e concorda con Renzi le scelte che riguardano anche l’ex Cavaliere. Quest’ultimo rimane formalmente all’opposizione per bilanciare l’egemonia leghista e impedire la deriva grillina. La convenienza del premier in questa fase è enorme: poter contare al Senato su una maggioranza blindata di circa 182 senatori, tetragona a qualsiasi mal di pancia interno al suo partito. Ovvio che Palazzo Chigi non possa benedire ufficialmente la scissione verdiniana, pur intendendo utilizzarla come “clava” per ridimensionare il dissenso della minoranza dem sulla riforma costituzionale e le altre partite che stanno maggiormente a cuore a Renzi.
Ma ad essere irritato per la perdita di potere contrattuale al tavolo dell’esecutivo non è solo la sinistra Pd bensì anche la pattuglia centrista. Il ruolo di Verdini, considerati anche i rapporti strettissimi tra quest’ultimo e il premier, rischia di ridimensionare quello di Alfano. E c’è chi scommette su un avvicinamento tra il nuovo gruppo dei verdiniani al Senato e quello di Scelta civica alla Camera, per dar vita a un nucleo neocentrista pronto a sostenere il governo sempre e comunque. Non a caso, ad Andrea Mazziotti, dell’ex partito di Mario Monti, è stata assegnata la presidenza della Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, strategica per il futuro delle riforme.
Al di là dei giudizi su Verdini, i suoi guai giudiziari (cinque rinvii a giudizio) e il “tradimento” nei confronti del suo elettorato di centrodestra, stupiscono le reazioni di tanti esponenti Pd che si scandalizzano per l’avvicinamento di una parte di fuoriusciti forzisti alla linea del premier. Questi signori dimenticano che due anni fa c’era il governo Letta, appoggiato anche da Berlusconi, oltre che da Verdini, e nessuno dei democratici se n’era mai vergognato. Tutto sembra riassumersi, quindi, nelle solite beghe di potere tra renziani e antirenziani, con un premier che sta sempre più polarizzando lo scontro politico tra i suoi sostenitori e i suoi avversari. Con un interrogativo tutt’altro che ozioso: questi nuovi scenari avvicinano o allontanano la fine della legislatura? Lo si capirà entro l’anno.