Venezuela, una campagna elettorale di sangue
L'uccisione dell'oppositore democratico Luis Manuel Diaz non è un caso isolato nella campagna elettorale del Venezuela. Man mano che il giorno del voto si avvicina, squadre armate di supporter del presidente Maduro (successore di Chavez) intimidiscono o aggrediscono gli oppositori. La violenza è dilagante.
La corsa elettorale per il Parlamento in Venezuela va avanti tra sangue e violenza. Luis Manuel Diaz, segretario generale di Azione Democratica (AD) e candidato dell’opposizione, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco lo scorso mercoledì 25 novembre, durante un comizio politico nel centro del paese (Altagracia de Orituco), a solo dieci giorni delle elezioni in programma per il prossimo 6 dicembre. Un giorno che, secondo tutti i sondaggi, il governo “chavista” di Nicolas Maduro potrebbe affrontare una dura sconfitta dopo di 16 anni di controllo quasi assoluto del potere.
A fianco di Diaz c’era Lilian Tintori, di origini italiane (papà modenese), moglie del leader dell’ala radicale dell’opposizione Leopoldo Lopez, in carcere e condannato con accuse senza fondamento a 13 anni per istigazione alla violenza durante le manifestazioni antigovernative del 2014. “Mi vogliono uccidere”, ha affermato Tintori durante una conferenza stampa fatta dopo l’uccisione di Luis Manuel Diaz, aggiungendo che si trovava a una distanza di due metri quando ha sentito gli spari molto vicini. Rivolgendosi a Maduro, Tintori lo ha accusato di essere responsabile del “terrorismo di Stato”, sottolineando che l'uccisione di Diaz non è l'unico attacco contro la campagna elettorale antichavista.
Non si tratta di un episodio isolato. Sono sei gli attacchi con armi da fuoco subiti da personaggi dell’opposizione in Venezuela da quando è iniziata la campagna elettorale. Henrique Capriles Radonski, governatore dello stato di Miranda, l'8 novembre aveva denunciato attacchi di gruppi armati, comandati dal sindaco “chavista” Saul Rafael Yanez. “Con pistola in mano, sparando a distanza, - Yanez - voleva impedire il nostro ingresso al municipio Simon Bolivar (stato Miranda), per visitare il nostro popolo di Yare”, disse in un video. Capriles è stato candidato di opposizione per le elezioni presidenziali in due occasioni: nel 2012, come sfidante di Hugo Chavez, e nel 2013 contro Nicolas Maduro.
Sono stati segnalati uomini del partito di governo, il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), in tutti gli attacchi contro l’opposizione. Il 21 novembre a Petare, una delle favelas più grandi di Sudamerica e che si trova a Caracas, la carovana del candidato Miguel Pizarro è stata interrotta da spari. Il 23 novembre i candidati Ivlev Silva e Richard Blanco denunciarono che uomini vestiti con magliette rosse hanno fatto una sparatoria quando visitavano il quartiere Caricuao, a Caracas. Il 24 novembre, nella città di Maracay, quindici uomini sono arrivati in moto sparando contro un gruppo dell’opposizione che appendeva cartelli di propaganda elettorale. Il 25 novembre, un altro gruppo di oppositori è stato attaccato da gruppi armati quando attendeva l’arrivo di Henrique Capriles nello stato di Bolivar.
Il governo promuove un clima di guerra. La frase “vincere a tutti i costi” è sempre presente nei discorsi del presidente Nicolas Maduro. Nel suo programma televisivo ha parlato anche di una offensiva civico-militare “verso la vittoria” per il prossimo 6 dicembre. Un discorso che evidentemente segue la dottrina “chavista”: “Chavez durante anni ha insistito sulla necessità di difendere la rivoluzione degli nemici esterni e interni”, come spiega Ana Soliz de Stange dell'Istituto Tedesco di Studi Globali e Regionali (GIGA).
In ogni caso, i venezuelani convivono da anni tra gruppi armati “colectivos” che durante i passati momenti di crisi hanno fatto sentire la loro forza per le strade, a volte anche con la protezione delle forze dell'ordine. Una “verità lapalissiana”: solo a Caracas ci sono 71 “colectivos”, secondo Marco Ponce, direttore dell’Osservatorio Venezuelano del Conflitto Sociale.
Il futuro del Venezuela appare buio. Si vuole fermare con la violenza la volontà di cambiamento di un intero popolo. Un popolo che ogni giorno si dibatte fra impunità dilagante, criminalità, corruzione, inflazione fuori controllo (più del 200%), drammatica mancanza di medicinali e beni di prima necessità; un popolo che sopravvive alla crisi economica più grave della sua storia. Una pericolosa bomba ad orologeria che attende il prossimo 6 dicembre.