Venezuela, trapianti sospesi: un dramma per tanti bambini
L’associazione Prepara Familia denuncia che da quando, nel 2017, il regime venezuelano ha sospeso il programma di trapianti, circa cento bambini sono morti solo nell’ospedale pediatrico di Caracas: 65 erano in attesa di un rene, 31 di midollo osseo. L’attesa riguarda anche centinaia di adulti a livello nazionale e altri problemi si registrano per mancanza di trasfusioni e chemio.
"Fino a quando non verranno riattivati i trapianti in Venezuela, i bambini continueranno a morire”, ha avvertito Katherin Martínez, direttrice dell’associazione Prepara Familia, che ha come scopo l’accompagnamento dei bambini e delle madri dell’ospedale “José Manuel de los Ríos”, noto come l’Ospedale dei Bambini di Caracas, un centro di riferimento nazionale. Questa associazione denuncia da anni il dramma che stanno vivendo i bambini venezuelani a causa della decisione del regime di sospendere il programma di trapianto di organi nel 2017.
Secondo i registri di “Prepara Familia”, all’ospedale JM de los Ríos sono morti ben 65 bambini che erano in attesa di un rene (49 tra il 2017 e il 2020, 16 durante il 2021) e dal 2019 sono morti 31 bambini in attesa di trapianto di midollo osseo. “Le unità di trapianto di rene del Paese sono disattivate. Affinché una persona o un bambino entrino in lista d’attesa, dovrebbero essere effettuati una serie di protocolli ed esami specialistici per sapere se quel bambino o adulto può optare per un trapianto. Nessuno ha fatto questo esame, quindi le persone non sanno nemmeno se hanno questa possibilità o meno”, ha spiegato Martínez.
A settembre sono morti quattro bambini in una settimana: Victoria Guzmán (12 anni) e Adonys González (6 anni) del reparto di Ematologia, Dianyelo Brito (6 mesi) e Ritzabeth Bueno (15 anni) del reparto di Emodialisi. Ma non sono gli unici, perché sono morti anche Raziel, Samuel, Eliecer, Dilfred, Deivis, Mariangel, Nohemí, Eliander, Leidimar, Wilmelys e molti altri. “Alcuni sono morti in attesa del trapianto, altri a causa di complicazioni o per mancanza di farmaci, anche perché non avevano antibiotici per combattere un focolaio infettivo del reparto”, spiega il rapporto di Prepara Familia sull’impatto della sospensione del programma di approvvigionamento di organi (Spot) e dei trapianti di midollo osseo nei bambini e negli adolescenti in Venezuela, pubblicato il 31 agosto (vedi qui). Questo rapporto ha ricordato che sono passati quattro anni dalla sospensione delle attività del programma di approvvigionamento di organi. Da allora, “l’Organizzazione nazionale dei trapianti del Venezuela (Ontv) stima che 960 persone non hanno potuto ricevere un trapianto da un donatore deceduto e, di questi, 150 corrispondono a NNA (minorenni)”, si legge nel documento.
Ricordiamo che per la Chiesa i singoli organi vitali possono essere espiantati solo previo esplicito consenso ed ex cadavere, cioè dopo la morte effettiva, e comunque rispettando la dignità del cadavere stesso. È lecito, per esempio, donare uno dei due reni, anche in vita. Vista la complessità del tema, rimandiamo all’approfondimento della Nuova Bussola.
Tornando al Venezuela, la sospensione del programma di trapianti per quattro anni non è l’unico problema. “È troppo grave che il reparto di Ematologia non abbia le trasfusioni necessarie o che sia rimasto senza chemio per settimane. È una violazione dopo l’altra; per questo ci rivolgiamo allo Stato, al Ministero della Salute, all’ospedale J. M. de los Ríos ma anche a tutte le unità pediatriche degli ospedali pubblici del Paese, perché questo problema non si verifica solo in questo ospedale. La differenza è che noi denunciamo e nel resto del Paese no. Ci sono tanti bambini, tante famiglie, che stanno attraversando questa situazione, i cui figli stanno morendo e nessuno sa cosa sta succedendo a livello nazionale”.
I bambini venezuelani perdono la vita in un’eterna dialisi, senza la speranza di un trapianto. È quello che è successo con Niurka Camacho, una ragazza di 15 anni che ha commosso con la sua testimonianza davanti alla Commissione interamericana sui diritti umani (Cidh): “Sono in dialisi da sette anni. Siamo venuti da Valle de la Pascua ed è stato molto difficile perché i primi mesi non è stato facile trovare un posto dove vivere. Anche in ospedale è stato molto difficile perché ho visto molti amici morire in attesa di un trapianto. Non vorrei che mi succedesse la stessa cosa, per questo chiedo che i trapianti vengano riattivati, che si faccia qualcosa”, ha detto con la voce tremante durante un’udienza tenutasi lo scorso 30 giugno. Il 3 agosto si è spenta in attesa di un trapianto; aveva appena festeggiato il suo quindicesimo compleanno.
La storia di Niurka è diventata il simbolo della lotta di Prepara Familia. “Tutti sono stati colpiti da questa morte. Il 21 luglio abbiamo festeggiato il suo compleanno con tanta emozione, è molto triste che non sia con noi adesso”, ha detto Katherin Martínez, evidenziando la sua preoccupazione per la situazione che colpisce decine di bambini, che sembra non avere soluzione nell’attuale contesto del Paese. “È necessario un cambiamento urgente altrimenti tutti i bambini moriranno”, ha detto.
Come Niurka, Winkler ha raccontato la sua storia e ha ricordato il suo amico Yandel Silva, scomparso il 29 aprile in attesa di un trapianto. Poi Edgar, 16 anni, ha affermato di essere stato sottoposto a dialisi per metà della sua vita, “perché otto anni fa mi è stata diagnosticata una malattia cronica ai reni e due anni fa ho perso l’occhio sinistro; quindi, ho urgente bisogno di una protesi. Ho davvero bisogno di un trapianto perché questi otto anni sono stati molto duri per me e la mia famiglia e ho sofferto molto. Ho visto morire molti amici in dialisi, tutti abbiamo bisogno di un trapianto”.
Anche Carlibeth, 14 anni, ha raccontato la sua storia. Nel 2016 è stata trapiantata, ma ha avuto un rigetto d’organo a causa della mancanza di forniture mediche. “I medici e alcuni amici mi hanno aiutato a superare il rigetto. Cosa mi piacerebbe? Che riattivassero i trapianti in modo che i miei amici possano avere una migliore qualità di vita e possano uscire dall’emodialisi, perché non muoiano più bambini”.
Ogni storia contiene tanto dolore, ma anche tanto coraggio: un totale di 12 giovani venezuelani hanno denunciato l’impatto della sospensione del programma di organi davanti alla Commissione interamericana sui diritti umani (vedi qui il video completo), nonostante sia rischioso denunciare in un Paese sotto dittatura. “Noi pazienti emodializzati in generale, e anche di altri reparti, ogni giorno, ogni mese, ogni settimana, abbiamo un problema diverso. Un giorno non c’è l’elettricità, un altro mancano i medicinali, un altro ancora non ci sono le garze. Qualcosa di così essenziale in un ospedale e che non dovrebbe mancare in un ospedale pediatrico. Come si può stare calmi? Come si può stare in un ospedale che non si può prendere cura di te?”, ha chiesto Luis.
Cristina invece lotta per un trapianto di midollo osseo. “Chiedo qui davanti a tutti voi che, per favore, possa essere riattivato per una migliore qualità di vita per tutti noi. L’ospedale non dispone di personale adeguato in termini di quantità, perché è il migliore in termini di qualità, ma in quantità sono pochissime le persone e lavorano con le loro mani. Non c’è l’attrezzatura, ad esempio, a volte manca l’attrezzatura per trasfondere il mio sangue, altre volte non c’è il personale”.
Tutto ciò avviene nonostante i bambini dell’ospedale J.M. de los Ríos siano protetti da misure precauzionali concesse dalla Commissione interamericana sui diritti umani il 21 febbraio 2018. “Chiediamo che il Ministero della Salute rispetti le misure precauzionali, che rispetti questi bambini che ad oggi non possono ricevere le cure, né la dialisi, né la chemio, né le trasfusioni, perché non hanno le scorte di cui hanno bisogno. Qui vengono violati tutti i diritti, ma fondamentalmente viene violato il diritto alla vita”, ha affermato ancora la direttrice di Prepara Familia, Katherin Martínez.