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WASHINGTON

Usa, neri in marcia contro l'immigrazione

Lunedì 15 luglio a Washington si terrà la marcia per il lavoro organizzata dagli afroamericani per protestare contro l'amnistia, proposta da Obama, che regolarizzerebbere i clandestini: tra gli 11 e i 20 milioni di persone che si riverserebbero su un mercato del lavoro già sofferente.

Esteri 13_07_2013
la Casa Bianca

Lunedì 15 luglio Washington si tinge di nero. Nel cuore della capitale federale degli Stati Uniti sfilerà infatti la prima March for Jobs con cui un esercito di afroamericani protesterà contro la paventata amnistia che, regolarizzando di botto milioni d’immigrati clandestini, si ripercuoterebbe gravemente sul già alto tasso di disoccupazione americana. A organizzare è la Black American Leadership Alliance (BALA), una federazione conservatrice di gruppi e di associazioni più di colore che di categoria. Fa specie, ovvio, ma tant’è. La regolarizzazione dei clandestini, in massima parte provenienti oggi dal Messico, comporterebbe infatti l’ingresso improvviso nel mondo del lavoro americano di un numero compreso fra gli 11 e i 20 milioni di nuove unità prive di qualsiasi preparazione, specializzazione o talento nel momento stesso in cui si calcola in 23 milioni il numero dei disoccupati americani. A Tea Party News Network, il portavoce del BALA, Charles Butler, ha chiarito: «La nostra attuale politica migratoria consente l’ingresso nel Paese solamente a 125mila persone al mese. In aprile, sono stati creati 88mila posti di lavoro. In maggio, ne sono stati creati circa 120mila. Dove finirà il resto della gente? Finirà sulle spalle dell’assistenza pubblica a prendere sussidi dello Stato pagati dai contribuenti americani».

Eppure il problema resta, enorme. Ed è anche un problema politico, colossale. I clandestini negli Stati Uniti sono tantissimi. Comunque vada, drenano risorse ed energie impiegabili molto meglio se solo si potesse illuminare le zone buie in cui si muovono. Un provvedimento in materia, tanto intelligente quanto comunque radicale, metterebbe fine a mille situazioni criminali, al commercio di esseri umani, alle mafie che operano fra Stati Uniti e Messico, e assesterebbe pure un colpo non secondario alla mastodontica piaga del narcotraffico latino-yankee che convive da sempre con quella dell’immigrazione clandestina. Certo, come auspica Obama, lo dicono gli stessi neri americani, proprio non si può fare. Non si può sognare di eliminare un male semplicemente prendendo a chiamarlo bene. Urge quindi una soluzione diversa, cioè quella su cui si sta accapigliando ancora senza soluzione il Partito Repubblicano. Per i Repubblicani è vitale trovare un sistema per uscire dal cul-de-sac in cui potrebbe infilarlo per sempre il Partito Democratico qualora riuscisse a legalizzare repentinamente milioni e milioni di clandestini. In questo modo, infatti, il Partito Democratico allargherebbe a dismisura il proprio elettorato e relegherebbe i Repubblicani a mera rappresentanza politica della “minoranza bianca” anzi dei “maschi bianchi”, dato che la propaganda liberal è riuscita a convincere una porzione grande dell’elettorato femminile che la salvaguardia del diritto alla vita è solo una “guerra contro le donne”.

Il braccio di ferro dunque continua e però qualcuno comincia a farsi qualche domanda in più. Tipo questa. Obama avrebbe potuto far passare la sua demagogica riforma sull’immigrazione in qualsiasi momento del suo mandato e però non lo fa fatto. Perché? Perché i più grandi avversari della legalizzazione dei clandestini non sono i Repubblicani, ma i sindacati. E tutto Obama vuol fare tranne che inimicarsi i sindacati, spina dorsale del suo elettorato e della sua azione di governo. Perché i sindacati obamiani sono contrari alla regolarizzazione acritica di milioni di clandestini? Se storicamente l’American Federation of Labor (una sorta di feder-sindacati) vi si opponeva per motivi razzistici, favorevole com’era alla visione del mondo eugenista, il mondo sindacale l’avversa oggi poiché teme il contraccolpo su quei lavoratori americani che faticosamente esso cerca di fidelizzare a politiche socialistiche attraverso il minuetto del do ut des che costantemente pratica con le Sinistre di governo, Obama oggi e domani chi per lui.