Urge un lockdown dei virologi da talk show
Basta con il festival della virologia a reti unificate. Dovrebbe essere un impegno del nuovo governo. Perché si è passati dalla consultazione del parere degli esperti, alla creazione di nuove star della medicina in televisione, che per di più creano più confusione e paura fra gli utenti.
Tra gli auspici degli italiani più ragionevoli e animati da buon senso c’è quello di veder cessare, in concomitanza con l’avvento del nuovo governo, il festival della virologia a reti unificate. Allarmismi, terrorismo mediatico e sensazionalismo spregiudicato di scienziati che pontificano sul virus a ogni piè sospinto sono gli ingredienti dominanti nella programmazione televisiva pubblica e privata. I principali broadcaster sollevano quotidianamente polveroni per attirare l’attenzione e tenere inchiodati ai teleschermi milioni di italiani, nella speranza di convincerli che i lockdown sono l’unico antidoto alla malattia collettiva.
La degenerazioni del sistema informativo sono ormai sotto gli occhi di tutti ed è davvero un peccato che la cosiddetta informazione di qualità, vale a dire quella prodotta da giornalisti che professionalmente sono chiamati a informare l’opinione pubblica su vicende di interesse sociale, abbia perso la ghiotta occasione del Covid per dimostrare il suo valore e per distinguersi dalla spazzatura che contamina i social e destabilizza quotidianamente l’opinione pubblica.
Nelle ultime settimane a fare da amplificatori acritici delle opinioni dei virologi, più che mai scatenati perché timorosi che l’emergenza possa terminare e che loro possano finire nell’anonimato nel quale si trovavano stabilmente prima della pandemia, sono i talk show.
Da quelli Rai a quelli delle tv private si assiste a veri e propri processi mediatici. Il gioco al rialzo consiste nello spararla sempre più grossa per poter ottenere audience e prefigurare scenari apocalittici per il prossimo futuro. Più la gente è chiusa in casa, più ha paura di uscire, più guarda la tv. E’ un gioco al massacro sul piano psichico e relazionale, che in Francia Emmanuel Macron ha deciso di interrompere. Il Presidente francese ha chiesto e ottenuto un profilo più basso da parte del Comitato tecnico scientifico francese, proprio al fine di evitare la raffica quotidiana di dichiarazioni di esperti, virologi, medici e chi più ne ha più ne metta, che finisce per creare inevitabilmente confusione.
In Francia, quindi, si è decisa una sorta di lockdown dei virologi, proprio per contribuire a distendere gli animi e scongiurare il rischio di una depressione collettiva dovuta allo stillicidio di dati e opinioni snocciolati dagli scienziati. Si ritiene, infatti, che i cittadini siano già sufficientemente responsabilizzati e in grado di valutare per conto proprio i rischi delle violazioni delle norme di distanziamento e contenimento e debbano fidarsi delle disposizioni dettate dalla politica per scongiurare il dilagare dei contagi.
In Italia i virologi hanno quasi tutti lucrato sul virus. Da chi ha chiesto e ottenuto compensi per le sue passerelle televisive a chi ha monetizzato scrivendo libri dedicati alla pandemia, con titoli accattivanti per attirare l’attenzione del pubblico. Il Codacons, associazione di tutela dei consumatori, ha chiesto chiarimenti su questo e ha presentato esposti contro le principali emittenti televisive pubbliche e private per accertare quanti soldi pubblici siano stati utilizzati per pagare la presenza dei virologi e degli scienziati in tv.
Basterebbe, peraltro, guardare gli ospiti che si alternano nei vari studi televisivi per ricavare l’impressione di un mondo autoreferenziale in cui le voci pro o contro sono accuratamente selezionate tra pochi intimi, per simulare un contraddittorio che in realtà non c’è. Tutti gli ospiti, infatti, sono più o meno sempre gli stessi e dicono sempre le stesse cose. Ma il pubblico si è quasi assuefatto e si ritiene soddisfatto e quasi rassicurato da quegli allarmi, che ritiene salutari per la tutela del benessere collettivo.
Molti giustificano alcuni talk show per il fatto di non essere condotti da giornalisti iscritti all’Ordine professionale. Anzitutto va detto che gran parte dei conduttori sono giornalisti e dunque dovrebbero rispettare la loro deontologia, evitando sensazionalismi e coltivando equilibrio, verità sostanziale dei fatti e indipendenza di giudizio. Va anche detto che le tv sono comunque tenute a rispettare quei principi e a farli rispettare ai loro dipendenti e collaboratori, anche quando non appartenenti alla categoria dei giornalisti, al fine di preservare il bene pubblico informazione e l’esigenza inderogabile di tutelare il contraddittorio.
Tutto quello che viene comunicato sul Covid, sia le notizie diffuse attraverso i telegiornali sia il chiacchiericcio dei talk show, dovrebbe essere maggiormente rispettoso del diritto delle persone di ricevere una corretta ed equilibrata informazione. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e i consigli di disciplina dei giornalisti, nei rispettivi ambiti di competenza, dovrebbero maggiormente vigilare su queste degenerazioni.