Ungheria al voto sull'immigrazione, le ragioni del No
“Volete che l’UE prescriva il ricollocamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del Parlamento ungherese?” Gli ungheresi, domani, risponderanno a questa domanda. Per tutti i media europei devono rispondere Sì. Ma esistono anche le ragioni del No. Vediamole.
Non solo l’Italia, ma anche l’Ungheria è alle prese con un referendum di cui si parla in tutta Europa. Gli ungheresi andranno alle urne domani e dovranno rispondere ad una domanda che (contrariamente a quella del referendum costituzionale nostrano) è sin brutale nella sua semplicità: “Volete che l’UE prescriva il ricollocamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del Parlamento ungherese?” Un voto Sì andrebbe nella direzione auspicata da Bruxelles, un voto No chiuderebbe definitivamente le frontiere ungheresi. Si tratta, come si evince dalla domanda, del tema più spinoso degli ultimi anni, quello dell’immigrazione. Ad essere messo in discussione dal paese centro-europeo è soprattutto il piano di “redistribuzione” dei rifugiati.
Secondo la stragrande maggioranza dei media europei, italiani inclusi, l’Ungheria si sta semplicemente trincerando nel suo nazionalismo esasperato, con accuse di “xenofobia” sempre più esplicite. L’Ungheria, non bisogna dimenticarlo, è il principale punto di congiunzione fra la rotta balcanica (dalla Turchia) con la Germania, destinazione della stragrande maggioranza di chi la percorre. Già l’estate scorsa aveva fatto molto discutere la costruzione, in tempo record, di una barriera al confine con la Serbia, presidiata dall’esercito di Budapest. Questo referendum dovrebbe servire anche a bocciare la possibilità che i rifugiati “buttati fuori dalla porta rientrino dalla finestra”. E’ recente la polemica nata dalle dichiarazioni anti-ungheresi del ministero degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, secondo il quale il paese centro-europeo dovrebbe essere espulso dall’Ue per “manifesta violazione dei principi fondamentali” europei, fra cui quello della libera circolazione delle persone.
A giudicare dai documenti emessi da Budapest in questi giorni, comunque, il vero obiettivo di questo referendum non è tanto l’immigrazione, quanto l’autodeterminazione. “Fondamentalmente, questo referendum riguarda il nostro diritto di decidere per noi stessi su questioni importanti – scrive Zoltan Kovacs, segretario di Stato per la diplomazia pubblica del ministero della Giustizia di Budapest - La politica di immigrazione, che decide su chi possa godere del diritto di vivere nel nostro paese, non dovrebbe esserci imposta da Bruxelles, né dovrebbe esserlo a qualunque altro paese membro. Miriamo a conservare il diritto di decidere per noi stessi, è un nostro interesse nazionale”. Il documento governativo sottolinea che non esiste una politica comune europea sull’immigrazione, che il piano di redistribuzione dei rifugiati è un accordo una tantum ed è quel singolo accordo che è stato impugnato dall’Ungheria. Il referendum riguarda questa singola causa e non mette in discussione l’appartenenza del paese all’Unione Europea. Sempre che non sia quest’ultima ad espellerla. “Non possiamo permettere che Bruxelles agisca al di sopra della legge – ha dichiarato il premier ungherese Viktor Orban – non lasceremo che ci costringano ad importare le loro fallimentari politiche dell’immigrazione”.
Quanto alla questione dei rifugiati in sé, la proposta del governo ungherese non è di mera chiusura e respingimento. “Per aiutare coloro che versano realmente in stato di bisogno, dobbiamo essere in grado di identificarli, sia per proteggere la nostra libertà di movimento all’interno dell’area Schengen, sia per fermare il traffico clandestino di esseri umani. Per raggiungere lo scopo, dobbiamo rafforzare i confini esterni dell’area Schengen e costituire dei punti di raccolta al di fuori della frontiera dell’Ue, nelle aree di crisi, per ricevere gli immigrati e verificare le loro richieste di asilo”. L’Ungheria ha, nel frattempo, creato anche un nuovo Ufficio per i cristiani perseguitati nel mondo. Spiega Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, nella sua intervista a Rossoporpora: “… è da anni che l’Ungheria, senza fare chiasso, aiuta direttamente i cristiani in Medio Oriente. Abbiamo contribuito, insieme con la Conferenza episcopale ungherese, a costruire scuole a Erbil e finanziamo l’istruzione di circa 400 scolari, così come accade per altre centinaia che sono costretti a vivere nei campi profughi. Finanziamo anche la costruzione di case per i profughi, non lontane da quelle abbandonate, perché essi non siano spinti a intraprendere un lungo viaggio verso l’Europa. Abbiamo anche aiutato le famiglie dei 21 copti egiziani assassinati su una spiaggia libica: come richiesto, abbiamo fornito loro le mucche per il latte e altri beni concreti e utili per la vita quotidiana. Abbiamo concesso dei visti agevolati per cristiani in reale pericolo di vita. Abbiamo inoltre stanziato 5 milioni di euro per la costruzione di un ospedale in Siria, quando sarà possibile”.
Secondo lo stesso Habsburg-Lothringen, il referendum può considerarsi persino come uno strumento per migliorare l’Ue nel suo complesso. Lungi dall’essere un mero segnale di uscita e chiusura, “Una vittoria del No – dice l’ambasciatore - conferirebbe allo Stato ungherese una più forte legittimazione politica nella sua azione all’interno dell’Ue. Sarebbe in ogni caso un segnale importante per tutta l’Europa. Posso presumere che in tanti altri Paesi si guardi con attenzione al referendum ungherese, poiché anche in quei Paesi l’opinione pubblica giudica insoddisfacente l’azione dei governi nazionali e dell’Ue in materia. Quello che il governo Orban vuole sostanzialmente è un dialogo con l’Ue e con gli altri Paesi membri, fondato su modalità rinnovate e più rispettose della volontà dei popoli”.
Ma allora perché tanto accanimento mediatico anti-ungherese? Secondo Habsburg-Lothringen, c’è stato un grande malinteso nella crisi degli immigrati del 2015: “Nei media occidentali dilagavano le immagini di soldati cattivi che non volevano che i migranti entrassero nel Paese. Immagini di grande impatto, molto negative. La realtà è che l’Ungheria stava facendo il suo dovere di frontiera esterna dell’area Schengen. Gli ungheresi sapevano che i diecimila migranti che giornalmente attraversavano la frontiera non si sarebbero fermati nel Paese, ma avrebbero voluto proseguire per la Germania. Nel contempo si rendevano conto che non era possibile utilizzare alla frontiera serba le procedure prescritte per l’accoglienza dei migranti (si entra solo se si ha passaporto o si chiede l’asilo). Non era possibile perché ‘naturalmente’ ogni giorno entravano masse di persone, impossibili da controllare. Il governo ungherese è stato allora costretto a mettere una recinzione, anche per creare un po’ di ordine per la presentazione della richiesta d’asilo a chi non aveva il passaporto. Da quando la recinzione è stata completata, i migranti sono calati sensibilmente. Gli altri continuavano il loro cammino attraverso Croazia, Slovenia, per arrivare senza controlli fino in Germania”. E “…costruendo la recinzione l’Ungheria ha lavorato anche per l’Europa, ma molti in Occidente non l’hanno capito”.
Ma, più in generale, secondo l’ambasciatore di Budapest c’è un vero pre-giudizio anti-Budapest. E questa avversione deriva soprattutto dalla nuova Costituzione approvata nel 2011: “E’ evidente che una nuova Legge fondamentale che inizia con un’invocazione a Dio, riecheggiando le prime parole dell’inno nazionale (”Dio benedici gli ungheresi”) non può oggi che suscitare fastidio e avversione nell’Europa cosiddetta occidentale. Se ci aggiungiamo l’articolo in cui si dichiara che “L’Ungheria protegge l’istituto del matrimonio quale comunità di vita tra uomo e donna, stabilita con decisione volontaria, nonché la famiglia come base di sopravvivenza della Nazione” e anche l’articolo in cui si evidenzia che ‘la vita del feto va difesa sin dal concepimento’, ce n’è abbastanza per indignare e scandalizzare in eterno l’intellighenzia dei salotti d’Occidente”. Da qui in poi, per le classi dirigenti europee, ogni occasione è buona per dare addosso all’Ungheria di Orban. Specie in occasione di temi scottanti, come l’immigrazione.