Una strategia fallimentare
L'idea di favorire la candidatura dei cattolici in tutti i partiti si è rivelata un boomerang che ha indebolito una presenza capace di promuovere i princìpi non negoziabili, sia numericamente sia nei contenuti.
Aereo militare americano: un gruppo di soldati mandati a combattere in un paese non identificato dell’America Latina, sono pronti a lanciarsi con i paracadute. A un certo punto uno di loro chiede al comandante: «Ma questa volta con chi combattiamo, con il governo o con i ribelli?». Decisa la risposta del comandante: «Metà da una parte e metà dall’altra. Stavolta la Cia non vuole correre rischi». E’ una scena esilarante di un vecchio film di Woody Allen, Il dittatore dello Stato libero di Bananas. Torna alla mente riguardando quella che è stata la strategia della Chiesa italiana per le ultime elezioni: cattolici piazzati un po’ in tutti i partiti, per poter contare su un voto trasversale in Parlamento nel momento in cui si presenterà la discussione sui temi eticamente sensibili.
L’idea in realtà non era nuova, l’aveva già sperimentata il cardinale Camillo Ruini nelle elezioni del 2008 e si era già allora rivelata impraticabile, al punto che l’on. Paola Binetti, eletta nelle liste del Pd, fu costretta a migrare nell’Udc. Ma allora le candidature “riconosciute” nella sinistra furono molto limitate, il quadro politico era molto più semplice e comunque era evidente che la maggior parte dei cattolici si trovavano nel Pdl e nell’Udc. Non solo la lezione Binetti non è servita, ma in questa tornata si è voluto fare le cose in grande, incentivando e valorizzando al massimo la presenza dei cattolici in tutte le liste, inclusa Rivoluzione civile. Per averne una prova basta riprendere lo speciale che il quotidiano della Cei, Avvenire, ha dedicato alle elezioni: si è arrivati addirittura a teorizzare l’assoluta compatibilità della presenza dei cattolici nelle liste dei grillini.
Inoltre, si è buttata a mare la presenza dei cattolici nel Pdl – basti solo citare la dura risposta del direttore di Avvenire Marco Tarquinio all’onorevole Antonio Palmieri che ricordava quanto aveva fatto il Pdl per la difesa dei princìpi non negoziabili – individuando in un primo momento in Mario Monti il nuovo punto di riferimento dei cattolici. In realtà il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, si è reso conto abbastanza in fretta dell’errore (non così Avvenire) ma ormai il messaggio era passato.
I risultati elettorali dicono chiaramente il fallimento di questa strategia, sia dal punto di vista dei numeri sia dal punto di vista dei contenuti.
I numeri anzitutto: l’esiguità del vantaggio del Pd dice chiaramente quanto possa aver contribuito il voto dei cattolici, considerato che i candidati nel Pd sono anche esponenti di rilievo di associazioni e gruppi ecclesiali. Per capirne le conseguenze basta andarsi a riascoltare l’intervento di Stefano Rodotà – non a caso ora il suo nome corre fra i candidati al Quirinale - qualche sera fa a Otto e Mezzo: si fa il tifo per un governo Pd-grillini così che anche sui temi “sensibili” (matrimonio gay, aborto, fecondazione assistita) si possa procedere senza più i freni imposti dai cattolici.
Allo stesso tempo l’abbandono di un Pdl troppo frettolosamente giudicato morto, ha fatto sì che guadagnasse forza la componente laicista di questo partito: l’esito lo si è visto al momento della formazione delle liste, e malgrado il risultato elettorale sia stato migliore del previsto nomi eccellenti dell’ala “cattolica” (Toccafondi, Roccella, Farina), che avevano svolto un importante lavoro nella passata legislatura, sono rimasti esclusi in prima battuta.
Nel complesso, la presenza di coloro disposti a battersi per vita, famiglia, libertà di educazione, si è chiaramente indebolita.
Ma le conseguenze peggiori sono per il contenuto della presenza dei cattolici in politica. Come Nuova Bussola Quotidiana abbiamo sempre insistito sull’importanza di educare soprattutto ai criteri con cui impegnarsi in politica e giudicare partiti e uomini politici, perché è su questi che si fa l’unità dei cattolici e non sulle analisi dei singoli problemi. Allora è chiaro che se si prende sul serio la Nota dottrinale del 2002 sull’impegno dei cattolici in politica, i princìpi non negoziabili diventano anche il criterio con cui decidere il partito in cui schierarsi. E' vero che nessun partito coinciderà totalmente con la Dottrina sociale della Chiesa, ma c’è una bella differenza tra chi permette che quei princìpi vengano difesi e chi li nega nel suo programma. Come è possibile, tanto per fare un esempio, conciliare quei criteri con un partito (Pd) che conta entro un anno di approvare una legge che equipari le unioni di fatto ai matrimoni? O con un movimento (5 stelle) che tra le prime cose da fare vorrebbe statalizzare tutte le scuole?
Dire o lasciar pensare che tutto sia possibile, che un valore valga un altro e ognuno sceglie quello che gli piace di più, significa promuovere nei fatti un relativismo etico e confondere il popolo cristiano anziché educarlo a far diventare cultura la fede. Nessuna sorpresa dunque se anche il 20% dei cattolici praticanti ha votato Grillo, per protestare e non per costruire.
E’ ora auspicabile che almeno questo voto serva da lezione, e che da questo momento si riparta concentrandosi su ciò che ci sta veramente a cuore, perché quello che c’è oggi in ballo in Italia come in tutto l’Occidente è l’uomo: o fatto a immagine e somiglianza di Dio e quindi irriducibile a ogni tentativo di manipolazione, o l’uomo che si fa egli stesso Dio, con tutte le aberrazioni e violenze che già stiamo sperimentando.