Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
IL DPCM

Una diligentissima Chiesa di Stato per i sani

Alla fine non c'è stato il temuto lockdown ecclesiale. Sembra una bella notizia, ma non lo è. Il fatto di essere rimasti col fiato sospeso in attesa di capire qual era l’andazzo del governo è indice che ormai siamo entrati in una fase nuova dei rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica, dove la seconda con diligenza di protocollo è sempre più subordinata al primo. Una chiesa di Stato, ma solo per i sani. 

Editoriali 05_11_2020

Il governo grazia la Messa e anche la messa in piega. Parrucchieri e parrocchiani potranno stare tranquilli: non verranno tolti loro shampoo e sacri riti. Così ha deciso il governo che con il Dpcm del 3 novembre entrato in vigore questa mattina istituisce tre zone e manda in lockdown Lombardia, Piemonte, Calabria e Valle d'Aosta.  

Si potrà dunque andare a Messa anche se non si sa bene che cosa dovranno scrivere i cittadini delle zone rosse nell’autodichiarazione dato che si potrà uscire solo per motivi lavorativi o per situazioni di necessità e di salute.

Sembra una bella notizia, ma non lo è. Il fatto stesso che tutti – fedeli, giornalisti e persino i vescovi – siano rimasti col fiato sospeso in attesa di capire qual era l’andazzo del governo è indice che ormai siamo entrati in una fase nuova dei rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica, dove la seconda è sempre più subordinata al primo.

Prima ci avevano provato le avanguardie culturali del Paese a chiedersi perché mentre i cinema chiudevano non serravano le Messe.

Poi la loro parte l’hanno fatta i vescovi che avevano anche messo le mani avanti e seminato qua e là qualche indizio per prepararsi a un imminente lockdown chiesastico: il Consiglio permanente straordinario della Cei convocato per martedì aveva all’ordine del giorno un «confronto sulla situazione legata alla pandemia e alla sua progressiva diffusione nel Paese» mentre su Avvenire non più tardi di domenica compariva un articolo molto studiato in cui si riferiva di un sondaggio Ipsos in cui gli italiani promuovevano lo stop alle Messe in occasione della quarantena. E il Papa annunciava di celebrare da qui a Natale in forma privata. Un messaggio subliminale per dire “noi siamo pronti”?

Probabile, quel che è certo è che le Messe non sono state sospese e il governo si è limitato a ricordare all’articolo 9 comma q che l’accesso nelle chiese è regolamentato al protocollo siglato il 7 maggio scorso da Conte, Lamorgese e il presidente della Cei Bassetti, che ora sta lottando contro l’aggravarsi del coronavirus e necessita delle preghiere di tutto il popolo di Dio. A proposito, auguri di pronta guarigione da tutta la Bussola.

C’è chi sostiene che non sarebbe stato opportuno chiudere le chiese mentre Bassetti era assente. Comunque sia, è un dato che al consiglio permanente della Cei, alla fine, di Messe non si è parlato come certifica l’assenza di comunicato stampa finale che pure era stato annunciato. E Avvenire ha prudenzialmente - e inspiegabilmente - tolto l’articolo sul sondaggio. Forse perché per ora non serve più.

È che a conti fatti non c’era motivo di sospendere le Messe. La Chiesa fin dall’inizio della pandemia si è mostrata subito diligente e come uno scolaretto ha messo in pratica i desiderata del governo ateo Conte II con una prontezza da studente modello: chiese chiuse prim’ancora che il governo lo chiedesse, Messe e processioni bellamente violate dalle forze dell’ordine e parroci ribelli puniti (ricordate Cerveteri, Rocca Imperiale? Soncino?) e poi, dopo la riapertura a maggio con un protocollo capestro, il ministro degli interni e il Cts hanno messo becco persino nella liturgia.

Al governo non è parso vero di poter mettere i piedi in testa alla Chiesa mentre con tutti gli altri, ristoranti, pub, discoteche, sale scommesse, taxisti, mezzi pubblici, scuole è stato un braccio di ferro estenuante. Infatti, loro sono stati puniti con chiusure e limitazioni, la Chiesa invece, avendo fatto i compiti e avendo mantenuto un protocollo di limitazioni tale e quale da maggio ad oggi, senza sbavature e senza un posto in più aggiunto alle Messe, è stata così ricompensata di tanta fedeltà: parcere subiectis et debellare superbos (“risparmiare i sottomessi e distruggere i superbi”). L’antica massima virgiliana è stata applicata alla perfezione.  

La notizia dunque non è che il governo non ci ha tolto le Messe, ma che - bontà sua - ce le ha ancora concesse.

Ci ritroviamo così a dover esultare perché alla Chiesa viene concesso uno spazio sempre più risicato di testimonianza pubblica e culto a Dio, stavolta a farne le spese sono stati i riti dei defunti nei cimiteri e i tradizionali baci alle reliquie nei giorni dei santi, ma tra un mese saremo alle prese con i riti di Natale e vedrete se non ci saranno restrizioni anche sotto la capanna.

Intanto un gruppo sempre più scelto di fedeli – nel nome della responsabilità – asintomatico, di sana e robusta costituzione certificata potrà recarsi in chiesa ed assistere alle Messe. È il frutto di mesi e mesi di messaggi rassicuranti dei vescovi che hanno tenuto buono il popolo di Dio esortandolo al sacrificio per il bene più grande, quello della salute, però del corpo.

Messaggi che hanno trovato il loro corollario finale nelle parole di Papa Francesco di ieri che ha detto che «questo ci insegna che dobbiamo essere molto attenti alle prescrizioni delle autorità, politiche o sanitarie, per difenderci dalla pandemia». Insomma: lo Stato ha sempre ragione e se stavolta ci lascia le Messe, viva lo Stato. Quando ce le toglierà, ancora viva, qualcosa vorrà dire. E pazienza per l'attività liturgica e pastorale se dovrà ancora aspettare a riprendere come prima e chissà quando mai riprenderà.  

Certo, qualcuno si è perso per strada. Chi andava a Messa con una fede debole o perché si rafforzasse nella debolezza dell’abitudine, verrà lasciato al suo destino. Pazienza: Papa Francesco, nell’intervista all’Adnkronos, ha spiegato che «chi veniva in chiesa per abitudine allora è meglio che resti pure a casa». Si spezzano le canne incrinate, si spengono gli stoppini dalla fiamma smorta, ma in chiesa entrano solo opliti in età da guerra, motivati, mascherinati e che sono disposti a sorbirsi le regole covidiche, posti prenotati compresi. Una chiesa per i sani e non per i malati. Si vede che nell’ospedale da campo e nelle periferie esistenziali, il pastore con l’odore delle pecore ha perso l’olfatto. Sarà mica per caso che s'è preso il Covid?