Una colletta per non dimenticare l'Ucraina
Ucraina: un paese distrutto da tre anni di guerra non dichiarata nella regione del Donbass. Il 24 aprile in tutte le chiese cattoliche d'Europa si terrà una colletta straordinaria per sostenere questa nazione alle porte dell'Ue, un'iniziativa lanciata da Papa Francesco.
In Ucraina la guerra è ufficialmente finita nel febbraio del 2015. In teoria non si combatte più da allora, dunque da più di un anno. Come mai, allora, Papa Francesco ha lanciato una colletta per la crisi umanitaria nel martoriato paese dell’Europa orientale? Perché in realtà la guerra continua, anche se appare meno sui nostri teleschermi. Il rischio che torni ad essere un conflitto caldo è concreto e lo diventerà ancora di più con la fine del disgelo e della stagione più piovosa. Infine, la condizione in cui versa l’Ucraina, dopo tre anni di conflitto non dichiarato, è catastrofica. Da tutti i punti di vista.
Papa Francesco ha lanciato la colletta speciale per l’Ucraina domenica 3 aprile, al termine del Regina Coeli. Si terrà in tutte le chiese cattoliche d’Europa domenica 24 aprile. Segue di pochi mesi l'incontro del pontefice con il patriarca Kirill, avvenuto a Cuba lo scorso 12 febbraio. L’incontro con Kirill riguardava soprattutto un altro conflitto, quello mediorientale, nel quale i cristiani (sia cattolici che ortodossi) sono perseguitati dai jihadisti in Siria e Iraq. La guerra in Ucraina è un tema toccato dal dialogo in modo molto più soffuso, come piaga da sanare, come pace da raggiungere: “Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto”. Se i greco-cattolici provavano un certo senso di abbandono, per non dire di smarrimento, dopo l'incontro fra Francesco e Kirill, la colletta riporta la chiesa ucraina al centro dell’attenzione del mondo cattolico. Quanto raccolto sarà destinato al Pontificio Consiglio Cor Unum e poi distribuito in loco soprattutto attraverso la rete delle chiese greco-cattolica e latina.
La prima emergenza da affrontare è nel Donbass, la linea del fronte di questo conflitto nell'estremo oriente ucraino. I combattimenti, benché non siano intensi come prima (non si registrano vere e proprie “battaglie” come quelle del 2014 e inizio 2015), non sono mai cessati. In teoria le armi pesanti delle due parti, milizie pro-russe ed esercito regolare, avrebbero dovuto essere ritirate oltre una fascia di sicurezza, in modo da trovarsi tutte fuori portata. In realtà, gli scambi di colpi d’artiglieria sono quotidiani, l’ultimo risale ad appena due giorni fa e ha provocato la morte di tre soldati regolari ucraini. Gli scontri a fuoco, anche ravvicinati, procedono con un andamento ciclico. Per quattro o cinque giorni si intensificano, arrivano ai 50-60 episodi quotidiani (scambi di colpi di artiglieria, mitragliamenti, azioni di cecchini, colpi di mortaio) poi calano per due-tre giorni successivi, giusto il tempo di accumulare nuove munizioni e infine si intensificano di nuovo. Si va avanti così almeno dall’inizio dell’anno. Attualmente siamo in fase di “stanca”, si registra un calo degli scontri a fuoco da tre giorni di fila, non si sa se per tirare il fiato e riprendere con maggior vigore, o per distensione politica. Un segnale positivo ci sarebbe: il 24 aprile (proprio il giorno della colletta) si sarebbero dovute tenere le elezioni separate nelle province di Luhansk e Donetsk, con l’esito scontato della vittoria di chi vuole la separazione delle due regioni dall’Ucraina e la loro annessione alla Russia. Ieri gli auto-proclamati presidenti delle due repubbliche separatiste hanno annunciato il rinvio del voto al prossimo 24 luglio. E’ il secondo rinvio in sei mesi e fa sperare in una prossima riconciliazione. In ogni caso, però, è da novembre che il governo di Kiev avrebbe dovuto ristabilire il pieno controllo sulla frontiera con la Russia, mentre questa è ancora controllata dalle milizie delle due repubbliche separatiste.
Il continuo stato di guerriglia e tensione fa sì che il Donbass sia diventata una zona morta. Manca anche l’essenziale: medicinali, cibo, strutture pubbliche come scuole, asili e ospedali, infrastrutture. Tutto è danneggiato o distrutto. I morti erano stimati in 8mila alla fine del 2015. Ora potrebbero essere anche un migliaio in più. Le statistiche sono necessariamente incomplete perché le perdite subite dalle milizie pro-russe non possono essere confermate da fonti indipendenti. Dunque si teme che il numero dei caduti sia in realtà superiore ai 10mila. Il che vuole anche dire: migliaia di famiglie distrutte dalla perdita di padri, mariti e figli, spesso uniche fonti di reddito. Di questi 10mila caduti, almeno un quarto sono civili, soprattutto colpiti dai bombardamenti d’artiglieria nelle aree urbane. Due milioni e mezzo di persone, un terzo della popolazione originaria della regione, hanno abbandonato le proprie case. In gran parte si sono rifugiati nel resto dell’Ucraina, che ne ha accolti circa due milioni. Un milione e mezzo di persone vive sotto la soglia di sussistenza. Cinque milioni di persone sono state colpite dal conflitto, perdendovi parenti, proprietà e lavoro. Ma nel resto del paese le condizioni non sono migliori. Tre anni e un mese di guerra non dichiarata hanno provocato un continuo stato di tensione in tutta la nazione e reso impossibile il programma di riforme che era stato promesso dal (ormai ex) governo Yatsenyuk. I danni e i costi del conflitto ammontano a circa 50 miliardi di euro. Il salario medio di un ucraino è ormai attorno ai 200 euro, ma i prezzi sono rimasti quelli dei livelli pre-guerra. L’Ucraina è tornata ad essere il buco nero d’Europa, come nei primi confusi anni dell’indipendenza dall’Urss. Una colletta, da sola, non servirà a farla rinascere, ma almeno a non dimenticarla del tutto.