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APPROPRIAZIONE INDEBITA

«Un vegetale? No, il mio Davide ascolta e capisce tutto»

Un incidente a 27 anni, una famiglia che da dieci lo assiste. Il miracolo della vita...

«Staccare la spi­na? Si può staccare a un e­lettrodomestico, non a una vita». A­medea Parma va dritta al cuore della questione. Potrebbe fare al­trimenti una madre che da oltre dieci anni accudisce il figlio in stato di incoscien­za? Prima lo straziante ca­so di Eluana, poi il silenzio imposto dal programma di Fazio e Saviano, ora la Gior­nata degli stati vegetativi.

«Non voglio giudicare nes­suno ma allo stesso tempo non posso tacere: – am­mette la signora Parma, 62 anni, riminese –. Don Ore­ste Benzi mi inciterebbe a far conoscere la mia espe­rienza. Se mi permetto di parlare è perché anche io ho vissuto le stesse soffe­renze del padre di Eluana. Davide nel suo silenzio è vi­vo ed è la mia forza». Il giorno della festa del papà è una ricorrenza che in casa Parma non possono più cancellare dal calenda­rio. È il 2000. Davide ha 27 anni, all’ora di cena il suo posto a tavola è vuoto. Alle 20 suonano alla porta ma al posto del ragazzo spun­tano le divise dei carabi­nieri. «Davide è in ospeda­le, in rianimazione, le sue condizioni sono molto gra­vi».

Ad attendere Amedea e il marito in ospedale, c’è la diagnosi dei medici, che suona come una sentenza senza appello. Davide è in pericolo di vita. Qualora riuscisse a sopravvivere, lo attenderebbe lo stato vege­tativo, la stessa diagnosi di Eluana. Dopo 20 giorni, Davide dev’essere trasferi­to in una struttura per la riabilitazione. Intubato, si nutre attraverso un sondi­no naso-gastrico, soffre di gravi broncopolmoniti con febbre altissima. Il quadro clinico è disperato. Mam­ma, papà e il fratello lo as­sistono continuamente: «Gli facevamo sentire la no­stra presenza». Dopo quat­tro mesi viene dimesso, la famiglia è indecisa. Chiede un consulto a un medico di Ferrara che sentenzia: non è recuperabile. Unica solu­zione: il ricovero in una Re­sidenza Sanitaria Assistita. La famiglia rifiuta.

«Ci sia­mo guardati tutti negli oc­chi: – racconta Amedea – portiamolo a casa». Davide e la famiglia sono parrocchiani di don Oreste Benzi. A casa, alla Grotta Rossa di Rimini, torna un ragazzo di 27 anni, da ge­stire come un neonato. Mamma Amedea vive nel­la sua camera. C’è da azio­nare l’ossigeno, fare pun­ture, eliminare l’eccessivo catarro. «Non sapevo fare nulla – ammette la madre –. I primi due anni sono sta­ti una tragedia». Davide ha lo sguardo nel vuoto, non manifesta reazioni. «Avevo pensato di farla finita, per­ché venivo già da un altro e­norme dolore: la perdita di un figlio di soli 12 anni in seguito a incidente strada­le ». Sembra che il mondo crolli: «Sono stati due lun­ghi anni: ho capito la soffe­renza nell’accettare la con­dizione dello stato vegeta­tivo. Poi però occorre sce­gliere ».

Amedea ha scelto la vita. Per la seconda volta si è sposata con la vita «E mio figlio ha percepito la mia scelta. Lo abbiamo accet­tato incondizionatamente e ha iniziato a dare segnali positivi». Davide ora ha 37 anni. Per i medici resta in stato vege­tativo, ma nessuno, incon­trandolo in casa, seduto sulla carrozzina, direbbe è 'assente'. «Sta bene, sorri­de spesso, è presente». Nel suo silenzio, nella sua im­mobilità, è parte integran­te della famiglia. Simone, il fratello minore, sposato, fu­ga ogni dubbio. «Mamma, stai tranquilla: ci pensiamo noi a Davide, non andrà in istituto». Davide ha persi­no subito l’asportazione del rene ed è finito sotto i ferri tre volte nell’arco di 15 giorni.

«Secondo i medici, non avrebbe retto neppure alla prima operazione – ri­corda la mamma –. Invece ce l’ha fatta, sta bene ed è qui con noi». Anche il ve­scovo di Rimini Francesco Lambiasi ha fatto visita al ragazzo ed è in contatto con i familiari. Amedea pensa alla Giornata del 9 febbraio: «un’occasione per far parlare della vita che pulsa in situazioni oggetti­vamente difficili, un’op­portunità per favorire la sensibilizzazione e la soli­darietà su questi temi, per aumentare anche l’infor­mazione», non sempre at­tenta a quanto accade real­mente nelle famiglie.

 

da Avvenire 9 febbraio 2011