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L'EDITORIALE

Un grande muro bianco

Sta per uscire un libro che rilancerà il dibattito sul crocefisso, chiedendone la rimozione dai luoghi pubblici. Solite argomentazioni, un film già visto che si ripeterà uguale. Ma che mondo vogliono i sostenitori dei muri bianchi?

Editoriali 02_03_2011
crocifisso E’ in arrivo il nuovo pamphlet di Sergio Luzzatto, storico dell’Università di Torino, dal titolo “Il crocefisso di Stato” (Einaudi) e purtroppo assisteremo ad un film già visto.  Le sue tesi? Le solite:  senza i crocefissi sui muri l’Italia sarà migliore; togliere i crocefissi non vuol dire rifiutare il ruolo storico del cristianesimo; l’esposizione del crocefisso è una imposizione e quindi viola la Costituzione. Nessun rinnovamento di argomentazioni. Nessuna originalità.

Per sfortuna costa solo 10 euro e quindi lo acquisteranno in tanti. E poi Luzzatto andrà a Otto e Mezzo, sarà ospite di Daria Bignardi, farà un giro all’Infedele dove Lerner magari gli organizzerà una serata tutta per lui. Non se ne può più di questa solfa di togliere i crocefissi. Ma prepariamoci. Luzzatto non lo scamperemo.

Storie già viste. Luzzatto intervistato da “In ½ ora” di Lucia Annunziata che chiede la parete bianca e noi ancora a dire che anche una parete bianca è una violenza. Che il vuoto non esiste: la parete in qualche modo la riempi, magari di nulla ma la riempi. Noi a dire che allora bisognerebbe togliere le croci dalla bandiera svizzera, dai cimiteri di guerra, dalle catacombe di San Callisto, dalle ambulanze. Togliete anche le croci di Sant’Andrea davanti ai passaggi a livello. Fate come i Talebani che hanno minato le statue di Budda in Afghanistan. Minate tutte le croci. Fate come a Mambra, un sobborgo occidentale di Mumbai, dove 729 croci proprio in questi giorni attendono lo smantellamento per ordine del Municipio.

Già li vediamo i prossimi giorni: noi ancora a chiedere perché la croce bisogna toglierla e gli altri simboli no? Abbiamo ancora i fasci littorii sugli edifici del ventennio, gran parte dei tribunali hanno sui muri e sulle colonne simboli fascisti, in Germania da certi edifici storici non hanno nemmeno tolto le croci celtiche. Allora togliamo “in God we trust” dal dollaro americano e le parole “God save the Queen” dall’inno inglese.

Eppoi, forse che la nostra laica repubblica non ha i suoi simboli? Togliete allora la fiamma sui cappelli dei carabinieri, eliminiamo l’elmo di Scipio dall’inno di Mameli, togliamo le toghe di ermellino ai giudici costituzionali, evitiamo le parate con i Bersaglieri che corrono, non facciamo più sfilare i veterani, mandiamo in pensione le fanfare, chiudiamo con i tappeti rossi e le bandiere a mezz’asta.  

Perfino la politica ha i suoi simboli. Allora tiriamo via l’orecchino a Vendola, i baffetti a D’Alema, il sigaro a Bersani, la erre moscia a Gad Lerner, insegniamo l’italiano a Di Pietro, facciamo fare una cura ingrassante a Fassino, tagliamo il ciuffo a Luca Cordero di Montezemolo e obblighiamolo a non parlare più di “gioco di squadra”, mettiamo la giacca a Marchionne, obblighiamo Frattini a dire qualcosa di diverso da Berlusconi e a Cesa qualcosa di diverso da Casini.

Ma che mondo è un mondo senza simboli? Una infinita parete di calce. Una tovaglia bianca grande come l’universo. Un immenso deserto senza un’orma. Un cielo plumbeo e abissale senza una stella.