Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
LA RECENSIONE

Un film sul giovane Escrivà. Ma di lui non si parla

In prima serata Rai3 ha mandato in onda qualche giorno fa l’atteso (non da tutti, ovviamente) film There be dragons del famoso regista Roland Joffé. Perché atteso (non da tutti)? Perché parla di san Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Ma nel film del santo ci sono pochissime tracce.

Cinema e tv 22_08_2014
La locandina del film There be dragons

L’indomani dell’Assunta, cioè il 16 agosto, in prima serata Rai3 ha mandato in onda l’atteso (non da tutti, ovviamente) film There be dragons del famoso regista Roland Joffé. Perché atteso (non da tutti)? Perché parla di san Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Roland Joffé, inglese di origine francese, ha al suo attivo titoli strepitosi e premiati come Mission e Urla del silenzio (due nomination agli Oscar e una Palma d’Oro a Cannes). Joffé ha senza dubbio il merito di aver portato sullo schermo due episodi storici che il politicamente corretto avrebbe preferito non prendere in considerazione. 

Con Mission (1986, cast di eccellenze come Robert De Niro, Jeremy Irons e Liam Neeson, musiche di Ennio Morricone) trattò della cacciata dei gesuiti dalle reducciónes del Paraguay. I gesuiti, strano a dirsi, ci facevano una bella figura; non così la Chiesa, mostrata come prona alle prepotenze delle corone spagnola e portoghese. I veri responsabili della distruzione delle reducciónes allo scopo di sfruttare gli indios erano, però, i primi ministri illuministi di quelle corone, come il portoghese Pombal. Di lì a poco, infatti, il Papa fu addirittura costretto ad abolire la Compagnia di Gesù, onde evitare guai peggiori (cioè, scismi). Di solito a chi storce il naso viene replicato che una fiction non è un documentario, così come un romanzo storico non è un saggio di storia. Vero, però nessuno impedisce a una fiction di discostarsi dalla vulgata corrente, così come ha fatto, per esempio, Mel Gibson col suo Apocalypto (2006): fiction, sì, però mostrava la verità storica dei sacrifici umani tra i Maya. Infatti, Gibson si attirò gli strali dell’intelligentzija liberal, scavandosi vieppiù quella fossa che si era aperta sotto ai piedi con Passion. Film in cui, com’è noto, aveva osato discostarsi dalla new wave che vuole i Romani quali veri responsabili dell’esecuzione di Gesù. 

Joffé nel 1984 con Urla del silenzio aveva sollevato il velo di omertà sul genocidio dei cambogiani da parte dei khmer rossi del regime di Pol Pot. Anche qui, star come John Malkovich, Julian Sands e Mike Oldfield alle musiche. Epperò, alla fine lo spettatore ricava l’impressione che, se gli americani non avessero esteso i bombardamenti al Laos e alla Cambogia nel corso dell’escalation della guerra in Vietnam, il genocidio non sarebbe avvenuto. Anzi, in una scena il protagonista, impersonato da Sam Waterston, lo dice chiaramente. Insomma, Joffé sembra ogni volta dare un colpo al cerchio e uno alla botte, quasi fosse, sì, tentato dai temi politicamente scorretti, ma poi, in corso d’opera, gli mancasse il coraggio di andare fino in fondo. Così, alla fine, i suoi film sono belli, fastosi e premiati, ma storicamente dei pastrocchi che, volendo accontentare tutti, finiscono per non far contento nessuno. 

Ed eccoci a There be dragons del 2011. Anche qui, bel cast: Charlie Cox, Wes Bentley, Olga Kurylenko, con un cameo di Jordi Mollá. Nelle locandine internettiane si dice che il film ripercorre la vita del giovane sacerdote fondatore dell’Opus Dei sullo sfondo della guerra civile spagnola, fino alla sua fuga ad Andorra. Se si guarda il film, però, si scopre che il plot della storia è un altro, e che il santo c’entra di sguincio, tanto che, se le scene che lo riguardano venissero eliminate, la storia non ne soffrirebbe più di tanto. Già il fatto che, a soli due anni dall’uscita sugli schermi, il film sia stato trasmesso dalla nostra terza rete televisiva nazionale, quella appaltata alla sinistra fin dai tempi di Berlinguer, avrebbe dovuto indurre al sospetto. 

E, infatti, nel film poco si parla del massacro sistematico dei preti da parte dei rojos, giusto quanto basta per giustificare la fuga di Escrivá. Ma si avverte subito che i miliziani rojos, poverini, vi erano stati costretti dal fatto che la Chiesa spagnola si era schierata coi nazionalisti di Franco. Ora, i libri di storia dicono che: a) le uccisioni di preti, frati e suore, gli incendi di chiese e distruzione di archivi e opere d’arte sacra cominciarono nel 1934 nelle Asturie, b) la guerra civile scoppiò il 18 luglio 1936, c) la Chiesa spagnola si schierò con Franco nel 1937, solo dopo che i massacri sistematici del clero e dei cattolici nella zona controllata dai rojos avevano raggiunto il parossismo, in quella che lo storico inglese Hugh Thomas (liberale e filo-repubblicani spagnoli) definì «la più grande persecuzione di cristiani dai tempi di Diocleziano». 

Nella fiction di Joffé i repubblicani sono i buoni, e i nazionalisti i cattivi, questi ultimi per giunta aiutati, colmo dell’orrore, dai fascisti italiani e dai nazisti tedeschi. Il cattivo dei cattivi è il protagonista, infiltrato nel campo repubblicano e responsabile di omicidi di innocenti, sabotaggi e quant’altro. Addirittura, il pessimo incolpa di spionaggio la ragazza di cui è innamorato per vendicarsi di esserne stato respinto. Il padre di costui era anche peggiore, essendo un bieco capitalista che sfruttava gli operai affamati. Il fetente pare convertirsi solo un attimo prima di morire di vecchiaia e solo perché Escrivá era stato un suo amico d’infanzia. 

Voi chiederete a questo punto: e che c’entrano i dragoni? Mah, all’inizio del film si vede un’antica mappa, forse d’epoca romana, di quelle in cui l’Africa sahariana era lasciata in bianco (perché inesplorata) con la scritta «Hic sunt leones». Qui ci stanno i leoni. Non i draghi. Boh. Quest’ultima interiezione è anche ciò che si forma nella mente dello spettatore quando compare la scritta «Fine» e scorrono i nomi dei partecipanti a vario titolo all’opera. La musica appartiene a tali Robert Fox e Stephen Warbeck, e infastidisce senza posa per le due ore del film, non cessando nemmeno quando ci sono i dialoghi. Gli appartenenti all’Opus Dei si rassegnino. Il film sulla vita del loro fondatore è meglio che se lo facciano da soli. I mezzi li hanno.