Un Conte nervoso denota debolezza con le sue sparate
Alla festa del Fatto e a Cernobbio, il premier Conte spara un po' su tutti, su Draghi che ritiene "stanco", sul presidente Mattarella che riterrebbe il caso di ricandidare (perché dirlo adesso? per bruciarlo?) e sulle elezioni regionali, per le quali mette le mani avanti. E infine è pronto a intascare l'eventuale vittoria del Sì per scipparla a Di Maio. Solo consigli di Casalino? O sono segni di debolezza?
Non si sa se sia stato consigliato dal solito Rocco Casalino, ma questa volta Giuseppe Conte ha davvero giocato male le sue carte. Il suo doppio intervento durante il week-end alla Festa del Fatto Quotidiano (il quotidiano a lui più vicino) e al Forum Ambrosetti di Cernobbio regala agli italiani l’immagine di un premier nervoso e isolato, che teme imboscate ai suoi danni e prova a sparigliare le carte dei suoi avversari, senza però in alcun modo riuscirci. Le sue parole vanno lette come una patente manifestazione di debolezza e come il tentativo di distogliere l’attenzione dalle evidenti difficoltà attraversate dall’esecutivo in queste settimane.
Ma cosa ha detto di così sorprendente il Presidente del Consiglio per meritare le prime pagine di tutti i quotidiani e per stimolare interpretazioni dietrologiche da parte di alcuni commentatori politici? I concetti espressi da Conte sono fondamentalmente quattro. Il primo è un mettere le mani avanti di fronte alla sempre più probabile disfatta delle forze di maggioranza alle prossime elezioni regionali. «Non avranno ricadute sull’esecutivo – si è affrettato a chiarire - anche perché il centrodestra è una coalizione coesa, mentre Pd e M5s si presentano divisi, tranne che in Liguria». Un autogol incredibile, visto che solitamente i panni sporchi si lavano in casa e i leader politici tendono a occultare in pubblico le debolezze, al fine di non scoraggiare e demotivare ulteriormente il proprio elettorato. La verità è che una eventuale sconfitta nella sua Puglia metterebbe il premier in una posizione di evidente imbarazzo nei confronti del Paese, visto che lui si è speso in prima persona auspicando un’alleanza tra i due principali partner di governo. Scaricare ora la colpa della probabile debacle sulla litigiosità tra dem e grillini potrebbe costargli caro.
Le altre tre sue affermazioni riguardano segnatamente gli scenari nazionali. Nel mese di agosto il discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini aveva accresciuto la distanza tra l’ex Presidente della Banca centrale europea e il Conte bis, da lui accusato di aver sprecato soldi in sussidi improduttivi e di non aver varato politiche di lungo respiro in favore delle nuove generazioni. Sabato a Cernobbio l’inquilino di Palazzo Chigi ha provato a bruciare la candidatura di Draghi a premier di un esecutivo di salvezza rivelando, anche in modo un tantino inelegante, un segreto: «Quando elogio Mario Draghi, non sono omaggi linguistici. Vi rivelo una cosa: quando c’è stata la nuova legislatura europea e abbiamo lavorato per creare la nuova squadra a un certo punto cercai di creare consenso per Draghi come presidente della commissione Ue. L’ho contattato perché non volevo spendere il suo nome invano. Mi disse che era stanco, che voleva riposarsi e che non era disponibile. La mia sensazione è che quando si invochi il suo nome lo si tiri per la giacchetta. Non lo vedo come un rivale: è persona di valore, un’eccellenza del Paese che ha fatto molto bene a livello europeo». Doppia bugia: anzitutto perché a Draghi i “grandi della terra”, come acutamente ha scritto Francesco Verderami ieri sul Corriere della Sera, avevano offerto la guida del Fondo Monetario internazionale, che lui ha ritenuto però di rifiutare, per cui era escluso che poi si infilasse in una competizione per la presidenza della commissione Ue, visto che il suo sponsor sarebbe stato Conte, premier debole di un’Italia debole e subalterna all’asse franco-tedesco; e poi, se davvero Conte stimasse Draghi e non lo ritenesse un rivale, lo avrebbe invitato agli Stati generali di Villa Madama anziché ignorarlo per paura che gli facesse ombra. Appare quindi evidente che Conte teme Draghi, da più parti indicato come suo sostituto in caso di crisi.
Terza esternazione di Conte quella sul futuro Presidente della Repubblica. Il premier ha dichiarato la sua preferenza per un Mattarella bis: «Se ci fossero le condizioni, anche da parte sua, per accettare un secondo mandato, lo vedrei benissimo», ha detto. Visto che però il settennato scade fra un anno a mezzo, che scopo ha questo prematuro endorsement del premier? Provare a bruciare la ricandidatura dell’attuale inquilino del Quirinale? Far uscire allo scoperto lo stesso Mattarella affinchè si dichiari indisponibile, aprendo di fatto la lotta alla successione? Sondare il terreno sperando di potersi proporre direttamente lui in prima persona come nome terzo rispetto a quelli di stretta nomina partitica? Tutte le ipotesi sono realistiche, ma certo è che il week-end ha riacceso i riflettori su un Conte timoroso di essere emarginato dalla scena e smanioso di rimettersi al centro della stessa. D’altronde, i suoi indici di gradimento nei sondaggi continuano a scendere.
Quarto e ultimo punto di vista di Palazzo Chigi riguarda il referendum anti-casta sulla riduzione del numero di parlamentari. Conte ha esplicitamente detto che voterà si. In questo modo, in caso di successo dei sì, potrà impedire al rivale Luigi Di Maio di intestarsi la vittoria. Tuttavia, potrebbe verificarsi l’effetto-Renzi, cioè la reazione popolare che portò gli elettori nel dicembre 2016 a votare in un certo modo al referendum proposto dall’allora premier, affinchè si dimettesse. La personalizzazione dei referendum non porta mai bene ai Presidenti del consiglio. Ora gli elettori indecisi sanno che votare no potrebbe consentire all’Italia di cambiare governo e maggioranza politica. E non è detto che adesso non diventino un po’ meno indecisi.